Comune di Maserà di Padova
Maserà di Padova
Piazza Municipio 41 - 35020 - Maserà di Padova (PD)
Veneto
tel: 049 8864111 fax: 049 8862693
e-mail: ragioneria.tributi@comune.masera.pd.it
pec: comunemaseradipadova@legalmailpa.it
web: www.comune.masera.pd.it
Storia
Le origini del Comune di Maserà sono certamente da ricercarsi in età romana e forse preromana, anche se le notizie che possediamo non ci permettono di risalire più in là del periodo altomedievale. Il toponimo "Maserà" è visto dal alcuni (Bortolami) in relazione alla presenza di acque dove si macerava il lino oppure (Beltrame ed altri) come il villaggio sorto in epoca romana e circondato da un muro e di sassi e pietre (macèria), accumulati in seguito alla bonifica che seguì la centuriazione romana.
Il territorio comunale, pianeggiante e ben irrigato, situato nelle immediate adiacenze all’antichissima città di Padova, deve essere stato coltivato già da popolazioni paleovenete: il successivo avvento dei romani portò una risistemazione delle terre in base all’abituale sistema della centuriazione, che migliorava la resa agricola favorendo la bonifica delle paludi ed il contenimento dei corsi d’acqua. Sappiamo che il territorio era attraversato da una "strada caput silvae" e possiamo ipotizzare che lungo di essa sorgessero i primi nuclei abitativi: in ogni caso gli insediamenti esistenti non seppero resistere al violento impatto delle popolazioni barbariche che, incuranti degli allevamenti e delle coltivazioni, saccheggiarono e devastarono la zona.
Principio di rinascita ful’assegnazione di vasti possedimenti del padovano al monastero dei benedettini di Santa Giustina di Padova: risale al 740 il primo insediamento dei monaci nel territorio, più precisamente nel luogo chiamato Corte.
Un secolo dopo, 2 maggio 874, sì hanno nuove notizie del possedimento benedettino grazie alla donazione di alcune terre fatta dal vescovo padovano Roerio (o Rosio), di origine francese e ben visto dagli alti vertici carolingi. Questa concessione comprendeva la Corte di Maserà ed una chiesa, o più propriamente cappella, dedicata a S. Martino in Ronchi la quale, non essendo dotata di fonte battesimale, risultava dipendere dalla cattedrale di Padova.
Nel febbraio del 970 i beni della Corte di Maserà vengono ulteriormente confermati ai monaci dal vescovo di Padova Gauslino, che nomina fra le dipendenze una cappella dedicata a S. Maria Vergine. La preesistente chiesa di S. Martino divenne Pieve di Ronchi, mentre la nuova chiesa di S. Maria Vergine divenne sede arcipretale nel 1190 e successivamente Pieve, dotata di proprio fonte battesimale, secondo Beltrame, prima del 1077.
Un centro abitato a Maserà risulta esistente nel 1234; anzi, Maserà è elevato a comune e comprende Bertipaglia, Bolzani, Cà Murà, Pratiarcati e Villa Albarella; libero comune, ma dipendente giuridicamente da Padova, era retto da un podestà che percepiva uno stipendio di 50 lire annuali.
La Corte benedettina visse periodi dì estrema floridezza alternati ad annate difficili: gli edifici rispecchiano quest’alternanza e vennero più volte restaurati e ricostruiti. Nel XV secolo il nuovo abate, Ludovico Barbo, promosse numerosi interventi atti a migliorare il sistema delle culture e provvide alla bonifica dei terreni paludosi: il fondo di Maserà fu diviso in diciotto possessioni affidate ad altrettanti coloni; nella Corte, consistente in una casa in muratura con annesse stalle, granai, cantine ed orti cintati, nonché un oratorio dedicato a Santa Giustina, risiedevano stabilmente un monaco-rettore ed un monaco-commesso. Molto diversi erano gli edifici che ospitavano i braccianti: semplici "casoni" di paglia dove viveva la gran massa dei lavoratori, retribuiti a giornate di lavoro. La popolazione ebbe anche a soffrire il passaggio delle truppe della lega di Cambrai che, nel settembre 1513, misero a sacco il territorio.
Già da alcuni anni i registri delle visite pastorali compiute dai presuli a Maserà lamentavano lo stato di abbandono in cui versava la chiesa parrocchiale, gestita da un sacerdote indegno, poi allontanato: la chiesa fu ricostruita e ricevette una nuova consacrazione il giorno 8 settembre 1496 (giorno della festa di Santa Maria Nascente).
La dominazione della Serenissima portò un lungo periodo di pace e l’introduzione di nuove sementi provenienti dall’America, che migliorarono il vitto della popolazione ed introdussero i germi di una ristrutturazione dei coltivi sulla base dell’economia di mercato.
Con l’arrivo dei francesi e la soppressione degli enti religiosi voluta da Napoleone, la Corte e tutte le sue pertinenze entrato a far parte del demanio pubblico: del Regno d’Italia prima e del Lombardo-Veneto poi. Una vasta parte degli antichi possedimenti benedettini insieme agli edifici della Corte divennero proprietà di un certo Antonio Faccanoni e successivamente dei fratelli da Zara, che introdussero la coltivazione della barbabietola volgendo decisamente il tipo di coltivazione da "cultura di sussistenza" a "cultura di mercato" ed affamando in tal modo la popolazione, che reagì con la creazione di una sorta di sindacato agricolo.
Trascorsi i duri periodi di guerra e di ricostruzione, oggi il Comune di Maserà basa ancora la propria economia principalmente sull’agricoltura, sulla produzione d’ortaggi (in particolare del Radicchio variegato Castelfranco IGP), ma dopo la II Guerra Mondiale anche il terziario e l’industria si sono notevolmente rafforzati, grazie al sorgere di numerose imprese artigianali.
Il territorio comunale, pianeggiante e ben irrigato, situato nelle immediate adiacenze all’antichissima città di Padova, deve essere stato coltivato già da popolazioni paleovenete: il successivo avvento dei romani portò una risistemazione delle terre in base all’abituale sistema della centuriazione, che migliorava la resa agricola favorendo la bonifica delle paludi ed il contenimento dei corsi d’acqua. Sappiamo che il territorio era attraversato da una "strada caput silvae" e possiamo ipotizzare che lungo di essa sorgessero i primi nuclei abitativi: in ogni caso gli insediamenti esistenti non seppero resistere al violento impatto delle popolazioni barbariche che, incuranti degli allevamenti e delle coltivazioni, saccheggiarono e devastarono la zona.
Principio di rinascita ful’assegnazione di vasti possedimenti del padovano al monastero dei benedettini di Santa Giustina di Padova: risale al 740 il primo insediamento dei monaci nel territorio, più precisamente nel luogo chiamato Corte.
Un secolo dopo, 2 maggio 874, sì hanno nuove notizie del possedimento benedettino grazie alla donazione di alcune terre fatta dal vescovo padovano Roerio (o Rosio), di origine francese e ben visto dagli alti vertici carolingi. Questa concessione comprendeva la Corte di Maserà ed una chiesa, o più propriamente cappella, dedicata a S. Martino in Ronchi la quale, non essendo dotata di fonte battesimale, risultava dipendere dalla cattedrale di Padova.
Nel febbraio del 970 i beni della Corte di Maserà vengono ulteriormente confermati ai monaci dal vescovo di Padova Gauslino, che nomina fra le dipendenze una cappella dedicata a S. Maria Vergine. La preesistente chiesa di S. Martino divenne Pieve di Ronchi, mentre la nuova chiesa di S. Maria Vergine divenne sede arcipretale nel 1190 e successivamente Pieve, dotata di proprio fonte battesimale, secondo Beltrame, prima del 1077.
Un centro abitato a Maserà risulta esistente nel 1234; anzi, Maserà è elevato a comune e comprende Bertipaglia, Bolzani, Cà Murà, Pratiarcati e Villa Albarella; libero comune, ma dipendente giuridicamente da Padova, era retto da un podestà che percepiva uno stipendio di 50 lire annuali.
La Corte benedettina visse periodi dì estrema floridezza alternati ad annate difficili: gli edifici rispecchiano quest’alternanza e vennero più volte restaurati e ricostruiti. Nel XV secolo il nuovo abate, Ludovico Barbo, promosse numerosi interventi atti a migliorare il sistema delle culture e provvide alla bonifica dei terreni paludosi: il fondo di Maserà fu diviso in diciotto possessioni affidate ad altrettanti coloni; nella Corte, consistente in una casa in muratura con annesse stalle, granai, cantine ed orti cintati, nonché un oratorio dedicato a Santa Giustina, risiedevano stabilmente un monaco-rettore ed un monaco-commesso. Molto diversi erano gli edifici che ospitavano i braccianti: semplici "casoni" di paglia dove viveva la gran massa dei lavoratori, retribuiti a giornate di lavoro. La popolazione ebbe anche a soffrire il passaggio delle truppe della lega di Cambrai che, nel settembre 1513, misero a sacco il territorio.
Già da alcuni anni i registri delle visite pastorali compiute dai presuli a Maserà lamentavano lo stato di abbandono in cui versava la chiesa parrocchiale, gestita da un sacerdote indegno, poi allontanato: la chiesa fu ricostruita e ricevette una nuova consacrazione il giorno 8 settembre 1496 (giorno della festa di Santa Maria Nascente).
La dominazione della Serenissima portò un lungo periodo di pace e l’introduzione di nuove sementi provenienti dall’America, che migliorarono il vitto della popolazione ed introdussero i germi di una ristrutturazione dei coltivi sulla base dell’economia di mercato.
Con l’arrivo dei francesi e la soppressione degli enti religiosi voluta da Napoleone, la Corte e tutte le sue pertinenze entrato a far parte del demanio pubblico: del Regno d’Italia prima e del Lombardo-Veneto poi. Una vasta parte degli antichi possedimenti benedettini insieme agli edifici della Corte divennero proprietà di un certo Antonio Faccanoni e successivamente dei fratelli da Zara, che introdussero la coltivazione della barbabietola volgendo decisamente il tipo di coltivazione da "cultura di sussistenza" a "cultura di mercato" ed affamando in tal modo la popolazione, che reagì con la creazione di una sorta di sindacato agricolo.
Trascorsi i duri periodi di guerra e di ricostruzione, oggi il Comune di Maserà basa ancora la propria economia principalmente sull’agricoltura, sulla produzione d’ortaggi (in particolare del Radicchio variegato Castelfranco IGP), ma dopo la II Guerra Mondiale anche il terziario e l’industria si sono notevolmente rafforzati, grazie al sorgere di numerose imprese artigianali.