Comune di Montebelluna
Montebelluna
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Veneto
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Storia
Per alcuni Montebelluna indica monte dei Belluni, popolo poi in rotta verso il nord; per altri il celtico 'rocca forte', al quale si arriva per discrete contorsioni passando per la dea bel-dunia, vale a dire bel (forte) più dunia poi dunun (rocca) e finendo in tarda prosecuzione in mons. Al di là delle questioni etimologiche e delle presenza umana risalente al paleolitico medio, ciò che qualifica Montebelluna è senza dubbio la grande rilevanza dell'insediamento veneto-antico, situato al centro di direttrici e percorsi nodali dell'area tra Piave e brenta. L'ormai lunga vicenda dei rinvenimenti archeologici lungo e ai piedi delle rive, si è di recente arricchita con l'arrivo dell'imponente necropoli di Posmon (Cima Mandria) e di nuovi importanti lotti di età romana. La Montebelluna veneto-antica è, allo stato attuale degli studi specifici, assimilabile ormai ai centri di Padova e Este.
In attesa di ulteriori verifiche, per il momento ricordiamo i tratti fondati dell' appartenenza di Montebelluna all'agro centuriato di Asolo che sembra trovare il suo limite nel XIII decumano e quindi in coincidenza con i rilievi. Il dato ha spinto alcuni studiosi a formulare l'ipotesi che la zona collinare tra Mercato Vecchio e S. Maria in Colle abbia accolto un contesto abitativo di epoca romana a carattere residenziale. Ne sarebbero prova evidente i pavimenti a mosaico, i resti in muratura, le lastre marmoree di rivestimento, i frammenti laterizi, i resti di fondazioni e di tubature fittili e in piombo rinvenuti in anni di ricerche, nonché la collocazione dell'area in posizione dominante sulla colonia agricola sottostante. Per altri, invece, la zona del Casteler avrebbe ospitato un castra romano in posizione di controllo della valle del Piave, posto pertanto sul confine settentrionale dei due graticolati romani e a difesa delle colonie; ne sarebbero prova, questa volta, il tessuto viario del mercato (l'intersecazione delle strade) e la riconoscibile configurazione del vallo che cinge il colle della rocca per proseguire in direzione sud-est attraverso frequenti interramenti.
Si segnala l'esistenza, abbondantemente documentata a partire dal 1100, del castello medioevale, concessione imperiale di Ottone III a Rambaldo II conte di Treviso e poi feudo vescovile allorché, nel 1047 e nel 1065, Enrico III e Enrico IV lo confermeranno rispettivamente ai vescovi Rotario e Volframmo. Attorno al feudo prenderà vita il Comune rurale. Il prologo è del 1107, anno in cui l'avogaro (avvocato) vescovile Guglielmino gastaldo del castello di Montebelluna concede in livello il forte e le sue pertinenze. La sanzione giurisdizionale arriverà poco dopo. Nel 1129 il vescovo Gregorio rinnova la concessione a livello assieme alla facoltà per i sudditi locali di darsi autonomi gastaldi, giurati, attribuendo diritti di custodia e amministrazione propria con potere di pronuncia di sentenze (facere laudamentum) e diritti di composizione su reati comuni (mittere compositiones de scandalis et furtis). Il citatissimo diploma di Federico I arriverà a cose fatte, nel 1152, e concernerà il solo reddito del foro privilegiato (cioè la riscossione delle tasse sul movimento merci del mercato) al vescovo Ulrico, il quale, nel 1170, rinnoverà ai vicini e castellani di Montebelluna l'affitto ventinovennale.
La Pieve di Montebelluna nasce così indissolubilmente legata al fortilizio (cum castro curte et pertinentiis suis). E sarà sempre la rocca, da lì in avanti -ossia dalla concessione in affitto del beneficio mercantile all'interno della cerchia del castello- a rappresentare lo scenario -per quel che gli compete- delle tumultuose vicende che dal 1200 a metà del '300 sconquasseranno l'intera Marca. Passato così sotto la tutela del Comune di Treviso, il forte subirà l'escalation drammatica delle lotte per il potere (Ezzelino, Caminesi, Della Scala) e verrà più volte manomesso se non distrutto e altrettante ricostruito, sino al colpo mortale della seconda metà del XIV secolo. La realtà dell'evidente ruina spingerà il Vescovo ad assegnare a livello ai communisti le sopravvivenze delle fratte e i muri fratti e le fosse circuenti il castello, presto interrate. A causa dell'insolvenza della Comunità vennero presto vendute anche le porte e i resti della cinta. Del castello, sul finire del Cinquecento, rimanevano solo le descrizioni dei cronisti.
L'area del Casteler all'epoca dello smantellamento quattrocentesco ormai da tempo assegnata alla Fabrica della chiesa- continua, nelle certificazioni notarili, a mantenere la sua funzione di orientamento per le poche ma determinanti preesistenze. Il tutto traspare dal rogito in cui il Procuratore della Pieve, a nome dei cinque comuni (regole, colmelli), chiede al vescovo De Rossi il rinnovo del livello ventinovennale "del campo, dei muri et della frata di Montebelluna", ò territorio, ove fù il campo predetto con la frata, muri, fossati..." Ciò significa anche che lo spazio dell'antico castello è assegnato e definitivamente gestito dalla Fabrica della chiesa, il che indica né più né meno la comunità. L'organo di amministrazione denominato Fabrica era composto dal Massaro, dai cosiddetti uomini eletti alla sua gestione, dagli uomini di Comun (membri stabili espressi dai colmelli), dagli amministratori responsabili delle confraternite religiose e di carità e dai procuratori (delegati) nominati in occasione delle contingenze più complesse.
La storia amministrativa dei cinque Comuni (Posbon, Visnà, Pieve, Guarda e Pederiva) formanti la Pieve di Montebelluna nel cosiddetto antico regime (XVI-XVIII secolo) coincide con l'appartenenza al quartiere di Campagna di Sopra della Podestaria di Treviso (così erano chiamate le giurisdizioni territoriali nello Stato da terra di Venezia). A partire dalla fine del XV secolo, ai piedi del colle si intensificarono le attività agricole promosse dalla canalizzazione del brentella e dall'arrivo di nuovi protagonisti e investimenti. Il Cinquecento segna l'apice della presenza sul territorio dell'antica nobiltà trevigiana presto affiancata dagli acquisti di soggetti emergenti provenienti dai commerci e dalle professioni urbane. I montebellunesi conducono terre d'altri e coltivano le loro, ma in questo caso si tratta di piccoli appezzamenti, i cui frutti possono essere integrati dai benefici delle terre comuni, ancora abbondanti e poco interessanti per il mercato.
La proprietà della terra cambia progressivamente di mano nel corso del Seicento. La nobiltà e la borghesia trevigiane vengono scalzate dai nuovi protagonisti dell'aristocrazia veneta, grandi acquirenti di fondi privati e comunali (in realtà beni, per dir così, demaniali). Dal versante dei contadini non cambia molto, stando alle cifre dell'estimo. La proprietà dei distrettuali rimane più o meno stabile, sempre più frazionata in poche decine di metri, sempre più antieconomica. Eppure qualcosa succede, la società si diversifica e i ceti cominciano a stratificarsi, anche economicamente.
Montebelluna e il suo mercato costituiscono in questo senso un ottimo esempio poiché la difesa del privilegio dell'esenzione fiscale dalle pretese fiscali degli appaltatori sarà una battaglia condotta in primo luogo da una élite.
Come è ormai abbastanza noto, il mercato franco di Montebelluna era sicuramente l'emporio più importante delle regioni pedemontane e prealpine (buona part del traffico si indirizzava verso il feltrino e il bellunese). Ciò infastidiva tutta una serie di soggetti pubblici (corporazioni cittadine, Camere Fiscali, Treviso) e privati. Lo spazio "pubblico" del mercato, gestito dall'organo di amministrazione laico della chiesa (Fabrica), i cui spazi (box) venivano affittati per la vendita, attirò infatti l'interesse di famiglie locali importanti (Pellizzari, Galante, Vendramini) e poi quella di emergenti forestieri (Van Axel). L'inesorabile e spregiudicata opera di penetrazione del privato ottenne agli inizi del '700 significativi risultati e più di un quarto dello spazio mercantile, quello maggiormente prestigioso del cosiddetto Casteler, venne sottratto alla comunità.
La crescita di Montebelluna proseguirà in ogni modo con linearità per tutto il Settecento. Il territorio si arricchirà di nuove ville e di nuove attività artigianali e produttive. Ma la fine del secolo segnerà anche la crisi, che diventerà inesorabile, del vecchio mercato. La popolazione si era ormai da tempo insediata in piano, là dove si concentrava la vita attiva, là dove cominciava ad affacciarsi un certo dinamismo sociale e economico. La crisi del mercato sarà però soprattutto la crisi del sito: strade impervie, fangose, poco transitabili; spazio esiguo e per di più finito; condizioni igieniche pessime, mancanza d'acqua, continue lamentazioni dei mercanti costretti a disertare, più o meno in massa, prima di tutto un'intera tradizione che faceva del marcà di Montebelluna il mercato per antonomasia. Ci vorranno alcuni decenni e un nuovo Stato prima di prendere atto della realtà. Sarà necessario anche un cambio amministrativo, un sindaco di rottura come Domenico Zuccareda, coraggioso e sufficientemente immune alle pesantissime accuse di anticlericalismo, un sindaco capace di fare e di ripassare la mano senza drammi all'eterno Clarimbaldo Cornuda, fortunato progenitore di una serie lunga di sindaci eterni. E Sarà necessario un giovane ingegnere come Giovan Battista Dall'Armi, geniale autore del cosiddetto nuovo mercato agli inizi degli anni settanta dell'Ottocento, volano della nuova città degli scambi e dei commerci. Va tuttavia ammesso che il sistema razionale e modulare di Dall'Armi non verrà affatto recepito dalle successive classi dirigenti, incapaci di cogliere nel suggerimento delle piazze la soluzione urbanistica del futuro.
In attesa di ulteriori verifiche, per il momento ricordiamo i tratti fondati dell' appartenenza di Montebelluna all'agro centuriato di Asolo che sembra trovare il suo limite nel XIII decumano e quindi in coincidenza con i rilievi. Il dato ha spinto alcuni studiosi a formulare l'ipotesi che la zona collinare tra Mercato Vecchio e S. Maria in Colle abbia accolto un contesto abitativo di epoca romana a carattere residenziale. Ne sarebbero prova evidente i pavimenti a mosaico, i resti in muratura, le lastre marmoree di rivestimento, i frammenti laterizi, i resti di fondazioni e di tubature fittili e in piombo rinvenuti in anni di ricerche, nonché la collocazione dell'area in posizione dominante sulla colonia agricola sottostante. Per altri, invece, la zona del Casteler avrebbe ospitato un castra romano in posizione di controllo della valle del Piave, posto pertanto sul confine settentrionale dei due graticolati romani e a difesa delle colonie; ne sarebbero prova, questa volta, il tessuto viario del mercato (l'intersecazione delle strade) e la riconoscibile configurazione del vallo che cinge il colle della rocca per proseguire in direzione sud-est attraverso frequenti interramenti.
Si segnala l'esistenza, abbondantemente documentata a partire dal 1100, del castello medioevale, concessione imperiale di Ottone III a Rambaldo II conte di Treviso e poi feudo vescovile allorché, nel 1047 e nel 1065, Enrico III e Enrico IV lo confermeranno rispettivamente ai vescovi Rotario e Volframmo. Attorno al feudo prenderà vita il Comune rurale. Il prologo è del 1107, anno in cui l'avogaro (avvocato) vescovile Guglielmino gastaldo del castello di Montebelluna concede in livello il forte e le sue pertinenze. La sanzione giurisdizionale arriverà poco dopo. Nel 1129 il vescovo Gregorio rinnova la concessione a livello assieme alla facoltà per i sudditi locali di darsi autonomi gastaldi, giurati, attribuendo diritti di custodia e amministrazione propria con potere di pronuncia di sentenze (facere laudamentum) e diritti di composizione su reati comuni (mittere compositiones de scandalis et furtis). Il citatissimo diploma di Federico I arriverà a cose fatte, nel 1152, e concernerà il solo reddito del foro privilegiato (cioè la riscossione delle tasse sul movimento merci del mercato) al vescovo Ulrico, il quale, nel 1170, rinnoverà ai vicini e castellani di Montebelluna l'affitto ventinovennale.
La Pieve di Montebelluna nasce così indissolubilmente legata al fortilizio (cum castro curte et pertinentiis suis). E sarà sempre la rocca, da lì in avanti -ossia dalla concessione in affitto del beneficio mercantile all'interno della cerchia del castello- a rappresentare lo scenario -per quel che gli compete- delle tumultuose vicende che dal 1200 a metà del '300 sconquasseranno l'intera Marca. Passato così sotto la tutela del Comune di Treviso, il forte subirà l'escalation drammatica delle lotte per il potere (Ezzelino, Caminesi, Della Scala) e verrà più volte manomesso se non distrutto e altrettante ricostruito, sino al colpo mortale della seconda metà del XIV secolo. La realtà dell'evidente ruina spingerà il Vescovo ad assegnare a livello ai communisti le sopravvivenze delle fratte e i muri fratti e le fosse circuenti il castello, presto interrate. A causa dell'insolvenza della Comunità vennero presto vendute anche le porte e i resti della cinta. Del castello, sul finire del Cinquecento, rimanevano solo le descrizioni dei cronisti.
L'area del Casteler all'epoca dello smantellamento quattrocentesco ormai da tempo assegnata alla Fabrica della chiesa- continua, nelle certificazioni notarili, a mantenere la sua funzione di orientamento per le poche ma determinanti preesistenze. Il tutto traspare dal rogito in cui il Procuratore della Pieve, a nome dei cinque comuni (regole, colmelli), chiede al vescovo De Rossi il rinnovo del livello ventinovennale "del campo, dei muri et della frata di Montebelluna", ò territorio, ove fù il campo predetto con la frata, muri, fossati..." Ciò significa anche che lo spazio dell'antico castello è assegnato e definitivamente gestito dalla Fabrica della chiesa, il che indica né più né meno la comunità. L'organo di amministrazione denominato Fabrica era composto dal Massaro, dai cosiddetti uomini eletti alla sua gestione, dagli uomini di Comun (membri stabili espressi dai colmelli), dagli amministratori responsabili delle confraternite religiose e di carità e dai procuratori (delegati) nominati in occasione delle contingenze più complesse.
La storia amministrativa dei cinque Comuni (Posbon, Visnà, Pieve, Guarda e Pederiva) formanti la Pieve di Montebelluna nel cosiddetto antico regime (XVI-XVIII secolo) coincide con l'appartenenza al quartiere di Campagna di Sopra della Podestaria di Treviso (così erano chiamate le giurisdizioni territoriali nello Stato da terra di Venezia). A partire dalla fine del XV secolo, ai piedi del colle si intensificarono le attività agricole promosse dalla canalizzazione del brentella e dall'arrivo di nuovi protagonisti e investimenti. Il Cinquecento segna l'apice della presenza sul territorio dell'antica nobiltà trevigiana presto affiancata dagli acquisti di soggetti emergenti provenienti dai commerci e dalle professioni urbane. I montebellunesi conducono terre d'altri e coltivano le loro, ma in questo caso si tratta di piccoli appezzamenti, i cui frutti possono essere integrati dai benefici delle terre comuni, ancora abbondanti e poco interessanti per il mercato.
La proprietà della terra cambia progressivamente di mano nel corso del Seicento. La nobiltà e la borghesia trevigiane vengono scalzate dai nuovi protagonisti dell'aristocrazia veneta, grandi acquirenti di fondi privati e comunali (in realtà beni, per dir così, demaniali). Dal versante dei contadini non cambia molto, stando alle cifre dell'estimo. La proprietà dei distrettuali rimane più o meno stabile, sempre più frazionata in poche decine di metri, sempre più antieconomica. Eppure qualcosa succede, la società si diversifica e i ceti cominciano a stratificarsi, anche economicamente.
Montebelluna e il suo mercato costituiscono in questo senso un ottimo esempio poiché la difesa del privilegio dell'esenzione fiscale dalle pretese fiscali degli appaltatori sarà una battaglia condotta in primo luogo da una élite.
Come è ormai abbastanza noto, il mercato franco di Montebelluna era sicuramente l'emporio più importante delle regioni pedemontane e prealpine (buona part del traffico si indirizzava verso il feltrino e il bellunese). Ciò infastidiva tutta una serie di soggetti pubblici (corporazioni cittadine, Camere Fiscali, Treviso) e privati. Lo spazio "pubblico" del mercato, gestito dall'organo di amministrazione laico della chiesa (Fabrica), i cui spazi (box) venivano affittati per la vendita, attirò infatti l'interesse di famiglie locali importanti (Pellizzari, Galante, Vendramini) e poi quella di emergenti forestieri (Van Axel). L'inesorabile e spregiudicata opera di penetrazione del privato ottenne agli inizi del '700 significativi risultati e più di un quarto dello spazio mercantile, quello maggiormente prestigioso del cosiddetto Casteler, venne sottratto alla comunità.
La crescita di Montebelluna proseguirà in ogni modo con linearità per tutto il Settecento. Il territorio si arricchirà di nuove ville e di nuove attività artigianali e produttive. Ma la fine del secolo segnerà anche la crisi, che diventerà inesorabile, del vecchio mercato. La popolazione si era ormai da tempo insediata in piano, là dove si concentrava la vita attiva, là dove cominciava ad affacciarsi un certo dinamismo sociale e economico. La crisi del mercato sarà però soprattutto la crisi del sito: strade impervie, fangose, poco transitabili; spazio esiguo e per di più finito; condizioni igieniche pessime, mancanza d'acqua, continue lamentazioni dei mercanti costretti a disertare, più o meno in massa, prima di tutto un'intera tradizione che faceva del marcà di Montebelluna il mercato per antonomasia. Ci vorranno alcuni decenni e un nuovo Stato prima di prendere atto della realtà. Sarà necessario anche un cambio amministrativo, un sindaco di rottura come Domenico Zuccareda, coraggioso e sufficientemente immune alle pesantissime accuse di anticlericalismo, un sindaco capace di fare e di ripassare la mano senza drammi all'eterno Clarimbaldo Cornuda, fortunato progenitore di una serie lunga di sindaci eterni. E Sarà necessario un giovane ingegnere come Giovan Battista Dall'Armi, geniale autore del cosiddetto nuovo mercato agli inizi degli anni settanta dell'Ottocento, volano della nuova città degli scambi e dei commerci. Va tuttavia ammesso che il sistema razionale e modulare di Dall'Armi non verrà affatto recepito dalle successive classi dirigenti, incapaci di cogliere nel suggerimento delle piazze la soluzione urbanistica del futuro.