Fatti di Storia
Aquileia romana
Aquileia è l'ultima delle dodici colonie fondate dai Romani nell'Italia settentrionale dopo quella di Rimini, e nasce fra mille difficoltà. I Carni, innanzi tutto, non vedevano di buon occhio l'insediamento coloniale in fondo alla pianura, anche perché intorno alla città i coloni occupano e delimitano circa 400 chilometri quadrati di terreni da coltivare, compresi fra il mare, l'Isonzo, Palmanova e San Giorgio di Nogaro, ed è chiaro che considereranno come atti di ostilità le invasioni di tale territorio. Poi i Galli transalpini, per niente spaventati dalla diffida degli ambasciatori romani, si riaffacciano nuovamente nel 179 a.C. e devono essere respinti. I Taurisci, infine, i Norici, gli Istri e le altre tribù transalpine non se ne stanno con le mani in mano, e costringono Roma, nell'anno 129 a.C., a compiere una vittoriosa spedizione punitiva contro di loro, affidando il comando delle legioni al console C. Sempronio Tuditano. Ma i più irriducibili, anche perché i più disturbati e minacciati dalla presenza dei colonizzatori, dovevano essere i Carni, che furono definitivamente debellati o sottomessi dal console M. Emilio Scauro fra il 15 novembre e 18 dicembre dell'anno 115 a.C.
Queste campagne militari, tuttavia, non avevano il solo scopo di tenere lontani i nemici dalla zona più fertile della pianura ormai stabilmente occupata: preludevano alla romanizzazione dell'intero Friuli ed alla realizzazione di un disegno espansivo ben più vasto.
È in previsione di ben più lunghe e impegnative campagne militari che Roma costruisce un sistema stradale impostato su alcuni assi portanti opportunamente orientati, ancor oggi ritenuti pressoché perfetti. All'anno 148 a.C. risale la costruzione della via Postumia, che collegava Aquileia con la regione padana attraverso l'agro concordiese. Nel 128 a.C. la colonia fu raggiunta dalla via Annia, che saliva dall'Italia centrale.
Fu quello il tempo in cui l'asse principale della comunicazione con il Norico, la via Iulia Augusta, ebbe la sua sistemazione definitiva: partendo da Aquileia, raggiungeva Tricesimo (che derivava il suo nome da ad tricesimum lapidem), Gemona (ma sarebbe meglio dire Glemona) e, alla confluenza del Fella con il Tagliamento, si biforcava per Tolmezzo, Zuglio (Iulium Carnicum), Monte Croce, Aguntum (nei pressi di Lienz) a sinistra, e, a destra, per Virunum (nei pressi di Klagenfurt) attraverso il valico di Tarvisio e Coccau. (Secondo il Mor, la biforcazione per Tolmezzo - Monte Croce si verificava all'altezza di Gemona e proseguiva per la valle del Lago di Cavazzo). Esisteva anche una strada che, staccandosi dalla Iulia Augusta poche miglia a nord di Aquileia, si ricongiungeva alla stessa nei pressi del Valico di Coccau, dopo aver percorso la valle del Natisone e la conca di Plezzo.
Nel frattempo i coloni, che inizialmente erano quindicimila, crescevano di numero per l'arrivo di nuovi contingenti e l'agro aquileiese si andava dilatando fino a comprendere tutta la pianura fra il Tagliamento e l'Isonzo, la laguna e i colli morenici. Tutto ciò avvenne nell'arco di ottant'anni sotto la copertura delle campagne militari vittoriose. Solo negli ultimi cento anni prima di Cristo Aquileia riuscì a romanizzare la parte rimanente del Friuli, dando un assetto politico ed amministrativo stabile all'intera regione, che poté godere di un lungo tempo di pace e di espansione economica.
Roma inserì il Friuli nella decima regione d'Italia, la Venetia et Histria, seppellì la cultura originaria, che a stento sopravvisse solo per la preponderanza numerica dei Carni rispetto ai dominatori, sotto una colata culturale imposta con la forza dalle leggi e del prestigio militare, modificò sostanzialmente l'ambiente naturale con la costruzione delle strade, con la perimetrazione dei fondi assegnati ai coloni e con la costruzione di nuove città militari o commerciali ai piedi della catena alpina: Cividale (Forum Iulii), Zuglio (Iulium Carnicum), Tricesimo e, nel 42 a.C., Concordia sulla destra del Tagliamento.
Il Friuli scomparve per qualche secolo come regione etnicamente distinta. Neanche gli apprestamenti difensivi riuscivano a dargli una certa individualità, perché la funzione di antemurale apparteneva a tutta la decima regione, che a sua volta faceva parte di uno scacchiere ben più ampio. (Saranno i Longobardi a dare una funzione autonoma, di avamposto fortificato, al nostro Friuli).
La pace di quel tempo era una pax romana per i Carni sottomessi, garantita dalla presenza militare su un confine decisamente pericoloso. La prosperità economica della colonia, che era diventata l'emporio commerciale dell'Adriatico, era favorita anche dalla posizione geografica che la teneva lontana dalle vicende politiche più critiche, come la guerra sociale del 90-89 a.C. Aquileia fu allora trasformata da colonia in municipium, una qualifica che comportava la completa autonomia amministrativa e il godimento della piena cittadinanza romana per i suoi abitanti.
Aveva però costante bisogno di protezione militare. Nel 67 a.C. Pompeo liberò l'Adriatico settentrionale dai pirati che lo infestavano. Nel 52 a.C. la Città riuscì a respingere un assalto di Giapidi e Taurisci, spintisi fin sotto le mura, che furono tosto rafforzate. Negli anni immediatamente successivi all'uccisione di Cesare, al quale Aquileia era sempre rimasta fedele, dovette rimanere sotto la costante pressione dei Dalmati, dei Liburni, dei Pannoni e dei Giapidi, che minacciavano addirittura l'equilibrio interno dell'Italia. Roma, per sventare il pericolo, fu costretta ad impegnarsi in una nuova campagna militare, affidando il comando delle legioni al triumviro Ottaviano, futuro imperatore, che, prendendo le mosse da Aquileia, conquistò la Pannonia e la Dalmazia.
Il vincitore capì che per dare sicurezza al confine orientale era necessario liberare dai popoli germanici la zona compresa fra le Alpi e il Danubio, per cui, una volta proclamato imperatore, si impegnò in una serie di guerre di conquista ed in un piano di riorganizzazione delle difese alpine. Aquileia fu, in quegli anni, ormai prossimi alla nascita di Cristo, il centro della storia romana e raggiunse il suo massimo splendore. Augusto la visitò più volte e la elevò al rango di metropoli: la sua popolazione toccava i centomila abitanti. L'imperatore ammodernò, e completò il sistema viario esistente (alcuni miliari ci fanno... attribuire agli ultimissimi anni prima di Cristo, la strada diretta che da Concordia, attraverso Codroipo, collegava la via Annia e la Postumia alla Iulia Augusta presso Artegna. È pure probabile che allora si sia provveduto ad altre arterie stradali: al raccordo che, staccandosi dalla Postumia, per Maniago e Spilimbergo, raggiungeva la stretta di Pinzano e quindi Ragogna, Osoppo, per congiungersi presso Gemona alla via Iulia Augusta; alla strada Aquileia-Cividale-Pezzo-passo del Predil che si congiungeva alla Iulia Augusta presso Tarvisio; alla via Gemina per Emona (Lubiana) e alla litoranea per Tergeste (Trieste) (Menis) e sviluppò la rete viaria transalpina, inserendo il Friuli, come nodo stradale essenziale, nella rete europea. Furono i Romani, e principalmente Augusto, che diedero alla nostra terra le strade, cioè le infrastrutture essenziali per adempiere alla sua funzione di ponte fra oriente e occidente, fra nord e sud. Furono ancora i Romani che diedero alla funzione naturale del Friuli un contenuto principalmente militare e commerciale, creando però le premesse per irradiazioni di tipo diverso.
Aquileia, che gli storici chiamano splendidissima, sublimis, clara, felix, era in realtà opulenta e cosmopolita. Il suo porto, che si estendeva da Grado alla foce dell'Ausa, era giustamente famoso anche come emporio commerciale, oltre che come base navale nella quale svernava la flotta romana dell'Adriatico. Fra le sue mura, secondo la testimonianza di Erodiano, viveva una grande moltitudine e non solo di cittadini, ma anche di stranieri e di mercanti. La composizione etnica di questa grande moltitudine era varia e culturalmente stimolante. Accanto ai funzionari romani ed ai coloni latini o italici, troviamo gli Ebrei, gli Africani e gli Orientali mescolati con i Veneti, i Carni e gli Istri. Tra la città e la laguna, il Natisone a est e il canale Anfora ad ovest, si trovavano molte officine per la lavorazione del ferro e dell'acciaio, i cui prodotti erano celebri in tutto l'impero, fabbriche di vetri, di mosaici e botteghe per la tessitura. Ma la merce più esportata, prodotta in grandi quantità dai coloni dell'agro aquileiese, doveva essere il vino, che veniva venduto nelle caratteristiche amphorae vinariae, urne cinerarie e comunissimi reperti archeologici degli scavi aquileiesi.
La Città splendidissima vive la vita precaria dell'orchidea in serra. Può dedicarsi al commercio, all'artigianato, all'arte musiva, solo se i popoli germanici non premono verso il sud e se le legioni di guardia sul limes danubiano sono forti e fedeli al potere centrale. La Città subì un saccheggio, ad esempio, per mano di tre legioni romane, durante le lotte per il potere che seguirono la morte di Nerone, nel 68-69 d.C., mentre trasse nuovi benefici dalla politica di restaurazione di Vespasiano e dalla politica di espansione di Traiano. Ma non appena l'esercito romano impegnato in qualche guerra, doveva alleggerire le guarnigioni della Pannonia e del Norico, i barbari si riaffacciavano minacciosi sulle Alpi e, in qualche caso, raggiungevano le mura di Aquileia. È quanto accadde alla morte di Antonino il Pio, nel 161 d.C., quando Marcomanni, Quadi e Sarmati, approfittando del fatto che buona parte dell'esercito romano era impegnata contro i Parti, superarono il Danubio, invasero la Pannonia e le altre regioni fino alla Rezia e, nel 168 d.C., assediarono invano Aquileia ed espugnarono Oderzo. Furono alla fine respinti oltre il Danubio dall'imperatore Marco Aurelio. Era solo un ammonimento, un semplice presagio di un non lontano, tragico futuro. Siamo già alla vigilia del terzo secolo, un tempo in cui la successione degli imperatori é decisa dagli eserciti sui campi di battaglia danubiani. Per il generale che, alla testa delle sue legioni, si avvia alla volta di Roma per prendere il potere, la Città è un ostacolo da evitare o da piegare. Siamo ormai al principio della fine. Settimio Severo nel 193 d.C. sfila alla testa del suo esercito, che lo aveva proclamato imperatore in Pannonia, sotto le mura della Città. Ma la vera tragedia scoppia nel 238 d.C., quando Giulio Vero Massimino, detto il Trace, proclamato imperatore dalle sue truppe, non ottiene il riconoscimento del Senato che sostiene altri concorrenti alla successione. Massimino decide allora di ottenere con le armi ciò che il Senato gli nega e si avventa su Aquileia, fedele al Senato.
L'assedio dura 22 giorni e gli Aquileiesi, con l'aiuto di Beleno, il Dio solare dei Celti, che, secondo una leggenda narrata da Erodiano, fu visto duellare sulle mura, respingono ogni assalto. Massimino finisce assassinato dai suoi stessi soldati e la Città é salva. Ma ormai l'instabilità politica non è più una febbre passeggera: è l'aria che si respira ogni giorno.
La vita del Friuli dal 181 a.C. alla caduta dell'impero romano non può, essere identificata con la vita di Aquileia, una città strettamente legata alle vicende politiche di Roma, destinata a scomparire non appena l'inclinazione del piano della storia diventerà sfavorevole per l'impero. È evidente che Aquileia non sarebbe stata splendidissima e felix in un deserto, nel quale la sua luce si sarebbe spenta da molti secoli ormai senza lasciar tracce. Se dunque Aquileia splende ancora oggi nella lingua e nel costume dei Friulani, dobbiamo cercare di capire come, perché e da chi la sua fiaccola è stata portata nei secoli. E la nostra indagine non può non partire dalla Carnorum regi, dove, scrive Gian Carlo Menis, vive la gran massa anonima dei Carni accanto ai pochi potenti coloni latini, dove però, al di fuori delle strutture e delle programmazioni, avvengono quei vasti fenomeni vitali che danno corso ai ritmi lunghi della storia. Alcuni di essi furono di tale portata da determinare elementi che formano tutt'oggi parte integrante del costume, del linguaggio, dell'economia e dello stesso ambiente fisico friulano.
Al di fuori di Aquileia, Concordia, Zuglio e Cividale, dove vivevano i funzionari, i magistrati, i comandanti militari, i mercanti e gli altri addetti al settore dei servizi troviamo la gran massa dei Carni romanizzati che vivono accanto ai coloni latini una vita economica e sociale basata sull'agricoltura. È nell'ambiente rurale che le due culture si fondono per un processo di sintesi che riguarda non solo la lingua, ma anche gli usi rurali, le tradizioni popolari e le manifestazioni culturali. Basterà ricordare qui che il campo a la grande del concordiese corrisponde a 5.060 mq., cioè a due jugeri esatti, e che il manso, l'unita di misura fondamentale della proprietà immobiliare nel Medio Evo, corrisponde ad un quarto di centuria, per accertare la formazione di una civiltà rurale basata su determinati valori profondamente radicati.
L. BOSIO, Itinerari e strade della X Regio, Padova 1970.
S. STUCCHI, La concentrazione del territorio tra il Tagliamento e l'Isonzo, Studi Goriziani, 1949