Fatti di Storia
Il 1420 in Friuli
Il frammentarismo feudale e comunale è ormai in piena crisi, e già si notano, sulla ribalta della storia, nuovi fermenti che finiranno per determinare la nascita degli stati nazionali in Europa e degli stati regionali in Italia. In realtà il Friuli è uno stato regionale avanti lettera, ma è anche un frutto fuori tempo, con una struttura interna arretrata rispetto ai nuovi stati e con una posizione geografica che non permette la sopravvivenza di organismi sclerotizzati.
Il feudalesimo friulano, attenuato dall'autorità centrale del principe nel secolo XII e seguenti, è ancora abbastanza forte nel secolo XV, perché il principe non fu mai un signore o un tiranno capace di accentrare gran parte del potere. Quello friulano ha più L'aspetto di uno stato federale che di uno stato unitario, amalgamato a stento da una solidarietà che ha per molla L'interesse economico. Venendo a mancare tale solidarietà riemerge in ritardo il particolarismo dei feudatari e dei principali comuni, causa prima dell'indebolimento del Friuli, che non riesce a reggere all'urto di stati compatti e centralizzati come la Repubblica Veneta.
Queste sono in sintesi le cause generali della fine dello stato patriarcale, che giunge inevitabile dopo quarant'anni di agonia segnata da faide, delitti, lotte insensate e suicide.
La causa prima della crisi risolutiva è il dissidio che scoppia fra Udine e Cividale per questioni di interesse commerciale, legate a motivi di prestigio cittadino e familiare. Cento o duecento anni prima il patriarca avrebbe avuto la forza ed il prestigio per castigare i litiganti; ma ormai i tempi sono cambiati ed il malaccorto Filippo d'Alençon si schiera con i Cividalesi, suscitando la rabbiosa reazione degli Udinesi che lo costringono alla fuga. Rientra scortato da un esercito assoldato da Francesco di Carrara, ma poi, giudicando troppo intricata la questione ed ingovernabile lo stato, dà le dimissioni. Nel frattempo le casse patriarcali si sono vuotate ed il bilancio statale è una drammatica radiografia di un ente che si dissolve.
La successione di Filippo è davvero problematica, anche perché la lotta fra Udine e Cividale ha ormai stuzzicato l'appetito degli avvoltoi, assumendo proporzioni internazionali. Con Cividale si sono schierati infatti il patriarca, molti comuni friulani, il re d'Ungheria, Padova e i Carraresi; con Udine e con i potenti Savorgnan si schiera Venezia, affamata di retroterra.
Il 15 febbraio 1389 la crisi precipita per l'assassinio di Federico Savorgnan, che apre una serie interminabile di crudeli vendette.
Il 13 ottobre 1394 il patriarca Giovanni di Moravia, che secondo alcuni è responsabile del primo delitto, cade sulla soglia del castello di Udine sotto i pugnali di un gruppo di congiurati, fra i quali c'è Tristano Savorgnan, figlio maggiore di Federico.Un senso di orrore percorre l'intero Friuli. Il Parlamento e le comunità implorano dal papa la nomina di un patriarca capace di riappacificare gli animi. Arriva così Antonio Caetano, che governa con saggezza fino al 1402. Ma la lotta si riaccende quando il successore, Antonio Panciera di Portogruaro, si dimostra favorevole ai Savorgnan e a Venezia.
La matassa si aggroviglia ulteriormente anche per una crisi religiosa che porta ad una sentenza papale di deposizione contro il patriarca friulano.
Nel 1412 arriva Ludovico di Teck a governare la preda contesa fra gli imperiali e Venezia. Il re Sigismondo di Ungheria, riconosciuto imperatore da tutti i principi tedeschi, compie la prima mossa occupando Udine, mettendo in fuga Tristano Savorgnan, e concludendo poi una tregua quinquennale con i Veneziani.
Il Friuli sembra sottratto alle fauci del leone veneto, ma il governo della Repubblica decide di riprendere le ostilità allo scadere della tregua. I Friulani tentano ogni mezzo per venire a patti con i Veneziani, ma questi marciano risoluti agli ordini di Filippo d'Arcelli e di Taddeo d'Este. La resistenza che incontrano è tenace ed orgogliosa, tanto che i due generali decidono di fare "terra bruciata" di vaste zone. Scoppia allora una guerriglia disperata, densa di episodi di efferata violenza, narrati con crudezza di particolari dal cronista veneto Sanudo. Cividale si arrende agli invasori il 13 luglio 1419. Il patriarca tenta di rioccuparla in novembre con un esercito di Friulani rinforzato da seimila Ungheresi, ma invano. Ripara quindi a Udine, che aveva resistito agli assalti dei Veneziani e di Tristano Savorgnan. Nel frattempo, dopo una lunga ed accanita resistenza (rimane negli annali quella disperata di Prata), molti castelli isolati si arrendono. Agli inizi del 1420 il patriarca va in Germania per raccogliere le forze necessarie per tentare la liberazione del Friuli. Nei mesi successivi capitolano Sesto, Spilimbergo, Maniago. In giugno Udine, accerchiata e ormai sicura di non poter più ricevere aiuti dal patriarca, decide di arrendersi il giorno sette. Dopo Udine cadono Gemona, Venzone, Tolmezzo e altri centri. Il Friuli goriziano rimane ancora in mano al conte, che aveva lealmente difeso la Patria - una volta tanto - finendo anche prigioniero dei Veneziani durante l'assedio di Cividale nel 1419. Due anni più tardi, però, egli si riconoscerà vassallo della Repubblica Veneta.
Il patriarca Ludovico non si rassegnò alla perdita del suo principato, ma i suoi sforzi diplomatici e militari, le pressioni del papa, la scomunica lanciata contro il doge e i magistrati veneti dal Concilio di Basilea nel 1435, non poterono cambiare una situazione voluta da Venezia per assicurarsi un sufficiente retroterra. Dopo lunghe, estenuanti trattative il successore Ludovico Trevisan accettò, nel 1445, il concordato imposto da Venezia e cosi terminava, anche sotto il profilo giuridico, l'indipendenza dello stato friulano.
Rimanevano sotto il dominio dei patriarchi solo le terre di Aquileia, San Daniele e San Vito al Tagliamento, tre "isole" in un lago politicamente veneziano.