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Ville, palazzi storici e opere architettoniche

Ponte de Pugni, Venezia

Anticamente privo di parapetti laterali e detto Ponte dei Pugni della Guerra, si tratta di un ponte situato nel sestiere di Dorsoduro, nei pressi di Campo San Barnaba. Deve il suo nome ad un'antica tradizione da secoli abbandonata: la Guerra dei pugni, ovvero degli scontri che avvenivano senza armi tra le due fazioni rivali dei Nicolotti di San Nicolò dei Mendicoli e i Castellani di San Pietro di Castello. Lo scopo dello scontro era quello di far cadere l’avversario nel canale sottostante, per la gioia degli spettatori. Quest'usanza divenne col tempo fin troppo violenta e pericolosa e fu più volte sospesa dalla Repubblica fino a portare, dopo numerosi incidenti seri, alcuni anche mortali, alla sua definitiva soppressione nel XVIII secolo. Il ponte odierno è stato completamente ricostruito negli anni Settanta dell’Ottocento, vennero messe le ringhiere in ferro e, a ricordo della tradizione, sui quattro vertici della pavimentazione, furono posizionate quattro sagome in pietra d’Istria con la forma del piede umano. Esiste, anche se meno celebre, un altro Ponte dei Pugni presso il campo di Santa Fosca nel sestiere di Cannaregio, anch'esso con le impronte dei piedi in pietra d'Istria. Inoltre, diversi altri ponti erano stati usati come campo di battaglia nelle guerre dei pugni. La seguente poesia di Attilio Sarfatti (1863 - 1900) racconta proprio questi scontri che avvenivano tra veneziani: Davanti a un mar de zente, a una gran fraca Che ziga, urla, se move in qua e in là; I se varda, i se stùzzega, i se taca, E ga razon chi più resiste e dà. Za molti casca in aqua, trema el ponte, I Castelani no pol far fronte. El popolo no sta drento la pele, E i Nicoloti el porta fin le stele. Se fussimo a quei tempi de bacan, A quei tempi de pugni e de legnae, Che bòte, Paulo mio, che sancassan, Quante da le to man teste segnae! Diese contro ti solo, vinti, çento, Cane se pararia sbatue da 'l vento. Cane che no resiste, ma se sbassa, Co la tempesta ruza, infuria e passa.   Al giorno d’oggi, posizionato sulla riva a fianco del ponte, si può trovare un segno del passato: uno degli ultimissimi barconi-negozio esistenti in città, di proprietà di un fruttivendolo. Voi fate il vostro ordine dalla riva e il fruttivendolo vi porge la merce dalla barca...

La Toponomastica a Venezia

La toponomastica a Venezia varia notevolmente rispetto a quella delle altre città italiane. Venezia ha attinto spesso da lingue come il latino, il francese, l'arabo e altre per esprimere la propria toponomastica. La configurazione della città, divisa in sei sestieri, non rende facile rintracciare i numeri anagrafici poichè essi sono progressivi e non rispettano un criterio logico, infatti i numeri non terminano con la fine della via (calle), ma continuano per tutta l'estensione del sestiere. Il sestiere di Castello, il più grande e popolato di Venezia, ha un'abitazione con il numero 6828! La toponomastica quindi ci aiuta nel localizzare i luoghi che ci interessano. Ma attenzione, ci sono molte "calli" che hanno lo stesso nome, come Calle della Madonna o del Magazen o del Cristo, esse si trovano in punti diversi della città. Per cui quando chiedete un'informazione ad un veneziano gli dovreste almeno saper dire il nome della contrada in cui si trova il posto che cercate. Per esempio: "Mi sa indicare la strada per arrivare al numero xxxx vicino a Santo Stefano?". Gli stessi veneziani fissano gli appuntamenti a San Luca o a San Bartolomeo. Passiamo quindi ad elencare gli elementi tipici della toponomastica a Venezia. Barbarìa. La Barbarìa era quella zona di Castello nella quale si trovavano numerosi depositi di legname. In tali falegnamerie venivano quindi tolte le barbe dalle cortecce degli alberi. Attualmente esiste solo la strada chiamata Barbaria de le Tole. Tale definizione risulta unica nella toponomastica a Venezia. Borgoloco. Il borgoloco era un luogo presso il quale sorgevano degli alberghi o locande. Attualmente ne esistono due, uno dedicato a Pompeo Molmenti, grande storico della città, che è presso Campo Santa Maria Formosa, mentre il secondo si trova a S. Lorenzo. Ca'. Abbreviazione che i veneziani usavano per indicare casa, specialmente delle famiglie nobili. Sono molto famose la Ca' D'Oro sede della Galleria Franchetti, e Ca' Foscari sede della facoltà universitaria di Economia e Commercio, tra le altre. Calle. Calli è il nome comune che si dà in città per indicare le strade piuttosto lunghe e strette. Tale termine viene largamente usato nella toponomastica a Venezia. Il nome deriva dal latino callis che significa "sentiero". Calle si usa normalmente anche in Spagna ed assume lo stesso significato. Altre varianti sono "calletta", "callesella", ma anche "calle lunga" e "calle larga". A Venezia esistono oltre 3000 "calli", esse ne rappresentano la vera struttura indispensabile per la viabilità. Campo. Il campo ha assunto nella toponomastica a Venezia il significato di piazza. Nei tempi antichi i campi infatti si presentavano ricoperti d'erba e spesso vi pascolavano pecore e cavalli. Essi alcune volte erano il sagrato delle chiese e vi avvenivano le sepolture. Solo più tardi i campi vennero selciati assumendo così l'aspetto che vediamo al giorno d'oggi. Ai tempi della Serenissima in ogni campo c'era almeno una vera da pozzo dalla quale si poteva attingere acqua potabile per uso domestico. Il Campiello è un campo più piccolo, oltre ad essere il nome di un famoso premio letterario la cui premiazione avviene ogni anno all'interno del Cortile di Palazzo Ducale nel mese di settembre. Canale. I canali sono delle vie d'acqua lungo le quali possono transitare natanti a remi o a motore. Essi possono essere costeggiati da rive o da palazzi. I più noti si chiamano Canal Grande e Canale della Giudecca. Carampane. Le Carampane si trovano in una zona adiacente alla contrada di S. Cassiano. Il nome deriva da Ca' Rampani che era la casa di proprietà della omonima famiglia nobile lì residente. Già nel '500 praticavano alle Carampane delle meretrici che avevano l'obbligo di restare all'interno di quest'area, assieme a quella chiamata "Castelletto" a S. Matteo. Risulta essere un termine tipico della toponomastica di Venezia. Chiovere. Le Chiovere si trovano non lontane dalla Chiesa dei Frari verso la stazione. Le chiovere erano anticamente gli ampi spazi nei quali venivano posti ad asciugare i panni dopo la tintura, stesi tra lunghe corde sorrette da canne o bastoni. In quest'area vennero abbattuti i vecchi edifici al principio del XX secolo e costruite nuove case a partire dal 1909. Delle altre chiovere si trovano in una zona decentrata di Cannaregio, presso S. Girolamo. Corte. La corte viene così chiamata da "cortile" termine tipico della toponomastica a Venezia. Essa risulta essere una piccola piazza circondata da case ed ha solo un'entrata (che è anche l'uscita). La corte può avere uno sbocco anche su un canale e talvolta la vera da pozzo. Esistono alcune "corti" più piccole, denominate "cortesele". Crosera. Si chiama crosera la strada principale che si interseca con delle "calli" secondarie. Anche questa espressione si riscontra unicamente nella toponomastica a Venezia. Il nome deriva dall'italiano crocevia. Fondamenta Fondamenta. Le fondamente sono delle rive che costeggiano i canali della città. Si chiamano così nella toponomastica locale perchè fungono da fondamento alle costruzioni. Esse hanno sempre disponibili degli approdi per le imbarcazioni. Fontego. Il fondaco era un grande edificio dove venivano conservate le merci. I fondaci pubblici stoccavano farina e miglio, mentre altri furono destinati ai Turchi ed ai Tedeschi per facilitare i loro commerci. La toponomastica a Venezia lo fa derivare dall'arabo funduq, ossia deposito per le merci. Lista. La liste erano delle strade localizzate nelle vicinanze di un'ambasciata straniera, come la Lista di Spagna, a poche decine di metri dalla stazione. Il liston, caratteristico della toponomastica a Venezia, si trova in Piazza S. Marco, ed è il percorso tra le due parti selciate in marmo bianco. Merceria. La merceria aveva ai suoi lati file di botteghe di merci. Attualmente esistono solo le Mercerie, delle lunghe strade che vanno da Rialto fino a S. Marco. Nella toponomastica essa viene detta Marzaria. Paludo. Il paludo era una zona bonificata dove anticamente si trovava un acquitrino, un posto che si inondava frequentemente nel periodo delle alte maree. In dialetto viene pronunciato palùo. Piazza. A Venezia la toponomastica concesse solo una Piazza, quella di S. Marco, tra le aree monumentali più belle al mondo, il "salotto " dei Veneziani. Piazzale Roma invece serve come terminal automobilstico. Piscina. La piscina, lo dice il termine stesso, era un luogo dove si poteva fare il bagno, simile ad uno stagno, vi si pescava. Queste zone furono interrate per consentire la costruzione di edifici e per facilitare il transito alle persone. Ramo.Il ramo è quella strada che diparte da un'altra principale. Esso può congiungere due strade ma anche un campo, talvolta il ramo non ha via d'uscita. Rio.Si chiamano rii i canali che percorrono in lungo ed in largo Venezia. Ce ne sono oltre 400 e sono delle vie d'acqua, usate per i trasporti di cose e persone. Il termine proviene da "rivo" e ricorre nella toponomastica locale. Rio Terà. Il rio terà è un canale interrato per poter migliorare la viabilità pedonale. Significa appunto "rio interrato". Molti rii furono interrati specialmente nell'ottocento. Al di sotto spesso vi scorre ancora l'acqua dell'antico canale. Riva. Si definisce riva a Venezia solitamente una "fondamenta" più ampia. Vi attraccano le barche e vi transitano le persone. Ruga. Chiamasi ruga quella strada che viene fiancheggiata da negozi e da case. La toponomastica a Venezia fa derivare il termine ruga dal francese "rue". Salizzada. La salizzada deve il proprio nome al fatto d'essere stata tra le prime strade selciate, cioè lastricate da pietre (i masegni). Prima di venire selciate, anticamente tutte le vie della città erano in terra battuta. Sestiere. Venezia fu divisa in sei parti fin dai tempi antichi. Infatti esistono sei sestieri, tre per ogni sponda del Canal Grande: Cannaregio, S. Marco e Castello (detto anche "Olivolo"), Dorso Duro, S. Polo e Santa Croce. La toponomastica ha espresso quindi una variante locale al termine usato normalmente in Italia, il quartiere. Sotoportego. Il sotoportego (sottoportico) è un pezzo di via che si trova al di sotto delle abitazioni. Il termine si ritrova spesso nella toponomastica a Venezia. La toponomastica a Venezia viene espressa nelle tipiche scritte nere su sfondo bianco chiamate in dialetto nizioleti, ossia "piccole lenzuola".

Palazzo della Ragione, Padova

Il Salone Chiamato popolarmente "Il Salone", il Palazzo della Ragione è in effetti uno dei più grandi ambienti coperti d'Italia che non ha uguali nell'architettura civile italiana. La grandissima sala del piano superiore, all'epoca la più grande sala pensile (cioè sollevata da terra) del mondo costituiva un vero miracolo di ardimento architettonico e di solidità. Ricco di una semplice e severa nobiltà e di una popolana grandezza, il Palazzo della Ragione sorse al centro di un articolato complesso di edifici comunali tra i quali il Palazzo degli Anziani e l'antico Palazzo del Consiglio, ancora in parte esistenti, che si vennero edificando a partire dalla fine del XII secolo, e sorse al centro di un sistema di piazze, le attuali Piazza delle Erbe e Piazza della Frutta, dove aveva luogo il mercato. Tra l'antico Palazzo del Consiglio e la parte orientale del Palazzo della Ragione si apre il Volto della Corda, grandioso arco di passaggio verso Piazza delle Erbe costruito nel 1277, così denominato perché qui i bugiardi, i falliti, gli imbroglioni, i debitori insolventi venivano colpiti sulla schiena con una corda. Le corde rimanevano sempre appese a cinque anelli di pietra infissi nel muro del Volto per ricordare ai venditori di essere onesti. L'angolo posto sotto al Volto della Corda prende il nome di canton delle busie (angolo delle bugie) perché vi avvenivano gli incontri tra i commercianti. Ancor oggi sono visibili in basso, sulla destra del Volto della corda, le antiche misure padovane scolpite sulla pietra bianca che impedivano ai venditori di imbrogliare gli acquirenti. L'imponente Palazzo della Ragione, termine attribuito in epoca veneziana, è un edificio a pianta trapezoidale dovuta ai vincoli di probabili canali d'acqua che attraversavano quelle che tuttora sono le piazze e che già allora erano una sorta di vivace ipermercato. L'antico edificio assomiglia ad un enorme nave capovolta e poggia su 90 piloni, disposti in quattro ordini. Grande ammirazione destava il Palazzo presso i contemporanei fin dalla sua forma primitiva che aveva la stessa lunghezza di quella attuale, ma una minore altezza ed era anche più stretto perché mancavano le due logge prospicienti le due piazze chiamate al tempo semplicemente Piazza Settentrionale e Piazza Meridionale, oggi rispettivamente Piazza della Frutta e Piazza delle Erbe. Il salone oggi Attualmente è utilizzato per grandi esposizioni artistiche e manifestazioni, mentre il pian terreno è tutt'ora destinato, come nell'antichità, a mercato di generi alimentari. Le vecchie botteghe sotto il Salone costituiscono uno degli angoli più suggestivi e caratteristici di Padova. Ogni bottega è ricca di prodotti alimentari di qualità: formaggi, carni, insaccati, pesce che provengono da tutta Italia. Ci sono anche prodotti locali tipici e novità gastronomiche, vere "chicche" di piacere che ogni commerciante vuole far conoscere nell'ottica di un generale recupero del cibo buono e genuino e di una riscoperta delle tradizioni e dei sapori dimenticati. Di recente è stato restaurato il mercato sotto il Salone di Palazzo della Ragione. Il restauro, che ha interessato anche l'interrato del Palazzo, consente di apprezzare i resti medievali e romani, oltre alla crescita stratigrafica della città. Gli scavi effettuati durante i lavori hanno portato alla luce una struttura organizzata in due gallerie longitudinali ed una trasversale, che fanno emergere le varie sovrapposizioni architettoniche che si sono succedute nel tempo - approfondimento. La storia Veduta aerea del Salone alla storia dell'edificio è presumibile pensare che il luogo ove sorge l'attuale Palazzo sia stato edificato ed abitato in età precedenti. Sotto il Palazzo rimane infatti memoria dell'età romana e le testine romaniche scolpite poste sugli stipiti degli archi di accesso al mercato sotto il Salone, ne sono una riprova. Non si conosce la data esatta della costruzione primitiva ma già nel 1166 esisteva la parte inferiore dell'edificio che aveva funzioni pubbliche. La prima realizzazione risale al 1219, ed aveva lo scopo di ospitare i tribunali e gli uffici finanziari, ruolo che ebbe non solo in età comunale, ma, sia pure con uso ridotto, anche durante la signoria Carrarese e tutta la dominazione Veneziana, fino al 1797. Fu però anche sede commerciale, unica funzione questa che mantenne nel tempo. Vi è quindi uno stretto rapporto tra il Salone e la giustizia. L'intensificarsi della mercatura nell'area delle piazze invitava il Comune a un intervento regolarizzatore che affermasse anche materialmente la protezione pubblica sulle attività mercantili. I primi statuti che regolano la vita delle città comunali risalgono all'inizio del XII secolo e riguardano soprattutto il commercio e le istituzioni politiche. La forma attuale la si deve a frate Giovanni degli Eremitani che tra il 1306 e il 1309 fece alzare la grande volta in legno a due calotte ed aggiungere il porticato e le logge coprendo le scale. Il tetto fu rifatto a capriate in legno di larice, senza colonne centrali e ricoperto da piastre di piombo. Al grande salone si accedeva attraverso quattro scalinate che prendevano il nome dal mercato che si svolgeva ai loro piedi: la Scala degli uccelli (Scala degli osei) al Volto della Corda, dei ferri lavorati, in Piazza delle Erbe, la Scala del vino, sempre in Piazza delle Erbe, e delle frutta nell'omonima piazza. In epoca comunale doveva esistere un passaggio sospeso (sul genere del Ponte dei Sospiri a Venezia) che dalla piccola loggia portava al palazzo dirimpettaio adibito a prigioni (ora Palazzo delle Debite, ricostruito maldestramente nell'800). L'edificio è attualmente collegato con un volto al palazzo comunale, mentre non esiste più il passaggio per le carceri. Il 17 agosto 1757 un furioso turbine sconvolse il grande edificio distruggendone il tetto e scoperchiandolo. Bartolomeo Ferracina, orologiaio e ingegnere della Serenissima, più noto per la costruzione dell'orologio di Piazza San Marco a Venezia e anche autore della ricostruzione del ponte palladiano di Bassano del Grappa, provvide alla riedificazione dell'imponente struttura. Trasferiti i tribunali nel 1797, il Salone fu aperto per grandi riunioni popolari, ricorrenze e feste. L'interno Interno del salone Il grandioso salone interno, di circa 80 metri di lunghezza per 27 metri di larghezza, è coperto da una vertiginosa struttura lignea di forma ogivale (cioè a sesto acuto) alta quasi 40 metri. Particolare curioso è che le misure dei due lati della sala rettangolare non sono uguali. La vasta sala è decorata da circa 500 affreschi. Dagli antichi scrittori sappiamo che Giotto aveva decorato le volte del salone dopo il 1306 con motivi astrologici, soggetti religiosi e figure allegoriche che andarono distrutti nell'incendio del Palazzo del 1420. L'edificio fu subito ricostruito e delle tre originali sale in cui era precedentemente diviso (la Cappella dedicata a S. Prosdocimo, primo vescovo di Padova, che si trovava sul lato orientale, la sala delle udienze dei giudici al centro e le prigioni sul lato occidentale) se ne fece una sola poggiante su archi e pilastri con volte a crociera, ad opera dell'architetto Bartolomeo Rizzo, esperto di costruzioni navali. Il padovano Nicolà Miretto e Stefano da Ferrara furono richiamati a ridipingere il nuovo ciclo astrologico sulla base delle precedenti tracce. Questi affreschi sono divisi in tre zone orizzontali e in dodici verticali, ripartiti in oltre trecento riquadri che raffigurano il sapere astrologico del tempo, cioè l'influsso degli astri e dei cieli sulle attività umane e sui caratteri: sembra che l'ideatore fosse stato il celebre medico, matematico, filosofo e astrologo padovano del tempo Pietro d'Abano, il cui cadavere fu bruciato perché condannato dopo morto per eresia. Gli affreschi Orologio del Salone Con una ricca iconografia che riunisce simbologie astrologiche e religiose, ma anche con numerosi richiami alla Serenissima rappresentata dal leone (nel 1420 Padova era già soggetta a Venezia), questo ciclo è tra i più vasti e complessi che si conoscano. La fascia superiore, che inizia con il segno dell'Ariete nella parete sud e che si conclude con il segno dei Pesci sul lato orientale, è divisa in 12 parti, corrispondenti ai 12 mesi dell'anno. Ogni parte è formata da tre file di nove riquadri dove sono riprodotti gli elementi caratteristici del mese: il segno zodiacale, i simboli astrologici dei sette pianeti, i dodici apostoli associati ai dodici mesi, i lavori propri di quel mese con il loro pianeta dominante. Il ciclo costituisce un grande orologio solare perché il sole, al suo sorgere, batte sul segno zodiacale corrispondente alla posizione astronomica in cui si trova il sole. La fascia inferiore raffigura soggetti religiosi inframmezzati a figure d'animali sotto le quali i giudici e i notai sedevano per risolvere le varie cause. Chi veniva citato in processo riceveva una carta con sopra il simbolo del giudice che l'avrebbe giudicato e quindi al popolo, che all'epoca contava un'alta percentuale di analfabeti, per individuare il proprio giudice bastava ricordare la figura dell'animale. Nel pavimento del salone, nella direzione della larghezza, c'è una striscia bianca e nera: è il segno del 12° meridiano che passa per Padova. Su di esso battono i raggi del sole che entrano dalla bocca della faccia dorata che sta sulla parete verso Piazza delle Erbe. Le altre decorazioni Col tempo altri affreschi votivi furono aggiunti, assieme a monumenti tra i quali, sulla parete occidentale, una lapide tombale romana, all'epoca attribuita al poeta padovano Tito Livio, e il medaglione dell'esploratore padovano Giambattista Belzoni. Accanto è collocata la famosa Pietra del Vituperio, detta anche del fallimento, un blocco di porfido nero su una base quadrata a tre gradini. La Pietra del Vituperio è testimone del singolare intervento di Frate Antonio che, presentandosi davanti al Consiglio Maggiore nel 1231 per perorare la causa dei debitori insolventi e dei falliti, era riuscito a modificare lo Statuto e a far abolire i tratti di corda e il carcere perpetuo a cui venivano prima condannati i debitori; come pena però il debitore insolvente veniva obbligato a spogliarsi, rimanendo con la sola camicia e in mutande (da cui il proverbio "restar in braghe de tela"), e alla presenza di almeno cento persone doveva sedersi per tre volte sulla pietra ripetendo "cedo bonis" (rinuncio ai beni) e poi lasciare la città per rifarsi una vita. Se però fosse rientrato senza il consenso dei creditori, sarebbe stato nuovamente costretto a sedere sulla Pietra del Vituperio e in più gli sarebbero stati gettati addosso tre secchi d'acqua. Dall'intervento di frate Antonio o immediatamente dopo, la pietra fu posta al centro del salone e conservò per secoli il suo posto servendo talvolta anche al bando di editti pubblici; ora la stessa si trova alla destra dell'entrata principale. All'interno della sala vi è anche un cavallo ligneo che fu donato al Comune nel 1837 dalla famiglia Capodilista la quale lo fece realizzare per una giostra o un torneo nel 1466. Il cavallo fu attribuito erroneamente a Donatello per la somiglianza col quello del Gattamelata in Piazza del Santo. Nella sala sono inoltre numerosi gli orologi, le meridiane e gli strumenti di misurazione del tempo.

Arena di Verona, Verona

Assieme alla casa di Giulietta, l'Arena è il monumento per cui Verona è famosa in Italia e nel mondo. È il terzo anfiteatro romano per grandezza dopo il Colosseo e l'arena di Capua. Può contenere circa 20.000 persone, che si ritiene fosse l'intera popolazione della Verona del I secolo d.C, periodo a cui risale la costruzione del monumento. Era costruita subito fuori dalle mura cittadine, ancora in parte visibili dietro l'anfiteatro, in un grande spazio aperto che, con la costruzione delle nuove mura nel XII secolo, sarebbe diventata piazza Bra. L'Arena, costruita utilizzando la tipica pietra della Valpolicella in tutte le sue sfumature di rosso e di rosa, come molti monumenti cittadini, subì gravi danni in occasione del terribile terremoto del 1117, in cui crollò l'anello di muro più esterno lasciando quelle quattro fila di archi isolati, la cosiddetta ala dell'Arena, che ancora oggi caratterizzano l'edificio. Molte delle pietre che costituivano questo anello esterno, tutto in pietra e riccamente decorato, furono utilizzate per la costruzione di nuovi edifici. Non è difficile scorgere blocchi di pietra finemente lavorata provenienti dall'Arena, nei muri di palazzi romanici del centro città. L'Arena, grazie alla particolare forma ellittica, ha infatti un'acustica perfetta, che permette alla voce dei cantanti d'opera e alla musica, di propagarsi perfettamente al suo interno, cosicché non vi è bisogno di impianti di amplificazione. Amplificazione cui invece si fa ricorso per i numerosi concerti ed altri eventi che si tengono ogni anno in Arena. Naturalmente non era per assistere a opere o concerti che l'Arena fu costruita. Gli anfiteatri erano infatti il luogo in cui gli antichi romani assistevano alle lotte di gladiatori e ad altri spettacoli cruenti. Il nome Arena, significa infatti "sabbia", e deriva dalla sabbia posta sul fondo dell'anfiteatro e che aveva il compito di assorbire il sangue dei combattenti. Non è chiaro invece se in Arena si siano mai svolte naumachie, i combattimenti di navi effettuate negli anfiteatri che venivano riempiti d'acqua per l'occasione.  

Palazzo Ducale, Venezia

Capolavoro dell'arte gotica, il Palazzo Ducale si struttura in una grandiosa stratificazione di elementi costruttivi e ornamentali: dalle antiche fondazioni all'assetto tre-quattrocentesco dell'insieme, ai cospicui inserti rinascimentali, ai fastosi segni manieristici. E' formato da tre grandi corpi di fabbrica che hanno inglobato e unificato precedenti costruzioni: L'ala verso il Bacino di San Marco (che contiene la Sala del Maggior Consiglio) e che è la più antica, ricostruita a partire dal 1340; L'ala verso la Piazza (già Palazzo di Giustizia) con la Sala dello Scrutinio, la cui realizzazione nelle forme attuali inizia a partire dal 1424; L'ala rinascimentale, con la residenza del doge e molti uffici del governo, ricostruita tra il 1483 e il 1565. L'ingresso per il pubblico di Palazzo Ducale è la Porta del Frumento, così chiamata perchè vi si trovava accanto l'"Ufficio delle Biade", che si apre sotto il porticato della facciata trecentesca prospiciente il Bacino San Marco. Al piano terra sono ospitati i servizi al pubblico e il Museo dell'Opera; l'area delle antiche cucine del Doge, che oggi ospita anche la caffetteria, è attrezzata per ospitare mostre temporanee. Il percorso verso le sale superiori del palazzo passa innanzitutto attraverso lo straordinario cortile, e prosegue con il Piano delle Logge e con la visita delle preziose stanze dell'Appartamento Ducale, al primo piano, e delle Stanze Istituzionali che si sviluppano tra il secondo piano e il piano delle Logge, per concludersi infine con la visita all'Armeria e alle Prigioni. Sono questi gli itinerari proposti dal Museo, che non seguono linearmente i singoli piani del palazzo, ma delineano al suo interno un percorso che sale e scende attraversandoli più volte. La numerazione delle sale qui indicata segue lo stesso ordine. Ci sono poi gli Itinerari Segreti, che non fanno parte del normale percorso del Palazzo, ma sono visitabili solo a particolari condizioni...

Ponte Scaligero

Il Ponte Scaligero, chiamato anche Ponte di Castelvecchio, è decantato dagli storici come "l'opera più audace e mirabile del medioevo in Verona". Portato a termine nell'arco di tre anni, quasi sicuramente tra il 1354 e il 1356, fu costruito per ordine di Cangrande Il, che intendeva in questo modo assicurare alla sua nascente fortezza sul fiume un'autonoma via di fuga (o d’accoglienza di soccorsi) verso il Tirolo, dove regnava suo genero Ludovico il Bavaro. Il nome del costruttore è avvolto nel mistero. Un documento del 1495 indica come tale il Bevilacqua che progettò il castello. Alcuni studiosi hanno invece ipotizzato, sulla scorta delle numerose analogie tra il ponte di Castelvecchio e quello delle Navi, una comune paternità, da attribuire a Giovanni da Ferrara e Giacomo da Gozo: ma nessun documento supporta questa teoria. La sua robustezza consentì al ponte di attraversare, praticamente intatto, cinque secoli di storia e le più dure piene dell'Adige. Nel 1802, dopo la pace di Luneville, i Francesi abbatterono la torre che sorgeva sul lato sinistro del fiume e rimossero o murarono gran parte delle merlature. Nel 1824 si proseguì con il restauro del pilone principale, in parte corroso dal corso della corrente, mentre dieci anni più tardi furono ripristinate le murature e riaperti i camminamenti. Per il maestoso gigante medievale, la fine sarebbe arrivata la sera del 25 aprile 1945, dall'esplosione delle mine tedesche. I lavori di ricostruzione, iniziati nel febbraio 1949, si conclusero nel 1951. Il ponte ricostruito è molto fedele all’originale. Chiunque l'abbia progettato, ha comunque compiuto un lavoro mirabile. Straordinariamente ardita, per i tempi, era l'arcata di destra, con una luce di quasi cinquanta metri, contro i ventinove e i ventiquattro delle altre due. La parte inferiore del manufatto, fino a quattro metri sopra la corrente ordinaria, era di marmo bianco e rosso; la parte restante di mattoni in cotto. Massicci anche i due piloni. Il maggiore era valorizzato da quindici capitelli corinzi e da frammenti di bassorilievi romani, la cui presenza è stata, nei secoli passati, ritenuta conferma della preesistenza in loco di un ponte romano: quest'ipotesi, tuttavia, non ha mai trovato conferma in alcun riscontro oggettivo, né archeologico né documentario. Il ponte, il cui percorso interno era lungo più di centoventi metri, e largo oltre sette, era munito di mura merlate dotate di camminamenti, con feritoie nei piloni. Alle sue estremità, infine, due alte torri.

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