Portale Nordest
 mobile

Scopri il nordest

Territorio e Ambiente

Gli ultimi articoli

Il territorio lagunare tra velme e barene

La laguna di Venezia è la più estesa zona umida d'Italia, con 55.000 ettari, che con le lagune di Grado e di Marano, rimane a testimonianza della grande fascia lagunare e deltizia che un tempo andava dalle foci del Timavo a Ravenna. Presenta caratteristiche del tutto originali sia per la flora che per la fauna, con ambienti forgiati dall'azione delle maree e delle correnti marine in contrasto a quella dei fiumi che vi sfociano, ma anche modificati dalla continua opera dell'uomo che vi ha costruito e scavato canali, argini, abitazioni. Ne è derivato un ecosistema con specchi d'acqua a diverso grado di salinità, che condiziona la presenza delle diverse specie animali e vegetali, affioramenti temporanei di terreno, barene e velme, differenti microclimi. L'uomo ha rappresentato il fattore decisivo nel processo che ha invertito la naturale tendenza della laguna verso l'interramento o la scomparsa e l’ha mantenuta come barriera naturale per difendersi contro i nemici che provenivano dal mare e come fonte di ricchezza, con i suoi porti e le sue isole, abitate e coltivate. Le lagune costiere sono figlie dei lidi. Si formano infatti quando le sabbie portate a mare dai fiumi, per effetto delle correnti e della risacca, si accumulano in allineamenti paralleli alla costa, intrappolando tratti di mare che diventano, appunto, lagune. Come avviene per i fiumi in pianura, i canali naturali delle lagune hanno andamenti tortuosi, a meandri. Gli allineamenti rettilinei e le forme geometriche sono sempre indici di realizzazioni artificiali, estranee ai dinamismi spontanei e agli equilibri dell'ambiente. I fiumi che sfociano dentro le lagune tendono rapidamente ad interrarle con i sedimenti che trasportano; al tempo stesso la loro corrente d'acqua dolce, immessa nella laguna, scava dei percorsi in direzione del mare, originando dei tipici canali lagunari. Il Canal Grande altro non è che un antico tratto lagunare del fiume Brenta. Ma i canali lagunari non hanno solo origini fluviali: l'acqua marina, infatti, entrando in laguna dalle bocche durante l'alta marea, forma una corrente che scava canali ampi e ramificati da mare verso terra. Questa corrente marina riesce a penetrare, percorrendo i canali, anche in zone lagunari molto interne, trasportando masse d'acqua che poi, con la bassa marea, seguono il percorso inverso. Gli spostamenti di acqua in ingresso e in uscita assicurano un elevato ricambio in ampie aree lagunari. Tanto le acque di origine fluviale quanto quelle provenienti dal mare trasportano sedimenti, che tendono a distribuirsi e depositarsi sui bassi fondali ai margini dei canali. In questo modo si formano delle secche, definite in laguna "velme". Le velme sono regolarmente emerse durante le basse maree. Quando altri sedimenti, depositandosi, ne elevano la quota fin oltre il livello del medio mare, le velme si ricoprono di una tipica vegetazione trasformandosi in "barene". I ricami tipici delle forme lagunari derivano, congiuntamente, dalle linee impresse dalle correnti e dai disegni tracciati dalle deposizioni dei sedimenti. L'equilibrio dinamico tra erosioni e sedimentazioni naturali rappresenta il principale fattore da cui derivano l'aspetto e la funzionalità delle superfici della laguna.

I Murazzi, Lido di Venezia

I Murazzi sono degli argini in pietra d’Istria costruiti per difendere la laguna dall'erosione del mare che andarono a sostituire le precedenti difese costituite da palificazioni. L’ideatore di quest’opera fu il frate francescano, nonché cosmografo, Vincenzo Maria Coronelli che nel 1716 propose la creazione di quest’ampia diga. La costruzione, seguita da Bernardino Zendrini, venne iniziata nel 1744 e completata nel 1782. I murazzi sono divisi in tre parti: una, sull’isola del Lido, inizia a Ca’ Bianca e finisce dopo circa 5 km in prossimità degli Alberoni; una seconda, sull’isola di Pellestrina, inizia a Santa Maria del Mare e termina dopo 10 km nei pressi di Ca’ Roman; una terza, nel litorale di Sottomarina, inizia dal Forte San Felice e finisce dopo circa 1255 metri, fino al centro di Sottomarina Vecchia. Queste costruzioni subirono notevoli danni durante le mareggiate del 1825 e soprattutto del 4 novembre 1966, quando il loro cedimento fu una delle cause dell’eccezionale acqua alta che sommerse Venezia. Lungo il loro percorso è possibile incontrare alcune lapidi: una del 1751, posta alla fine di Pellestrina, la quale recita: "UT SACRA AESTUARIA URBIS ET LIBERTATIS SEDES PERPETUUM CONSERVENTUR COLOSSEAS MOLES EX SOLIIDO MARMORE CONTRA MARE PUSUERE CURATORES AQUARUM AN.SAL.MDCCLI AB URBE CON MCCCXXX" (I curatori delle acque posero le colossali moli di solido marmo contro il mare affinché siano conservati in perpetuo i sacri estuari della città e della libertà). Nella parte del Lido, una stretta stradina a 5 metri sopra il livello del mare permette di percorrere i murazzi a piedi o in bicicletta. Una serie di scalette poste a distanza regolare consentono di scendere su questi enormi pietroni artificiali dove d’estate molti veneziani si arrampicano a prendere il sole. Sparsi qua e là lungo gli scogli si possono intravedere delle sculture in legno o addirittura delle vere e proprie capanne costruite dai frequentatori dei murazzi per godere di un po’ di ombra durante la calura estiva.

Sesleria uliginosa Opiz - Sesleria delle paludi

Sesleria uliginosa Opiz - Sesleria delle paludi Famiglia: Poaceae Questa graminacea ha un areale che ricopre il centro e il nord Europa e le stazioni friulane sono probabilmente quelle più meridionali della sua distribuzione.. Si tratta di una specie dalle foglie lineari caratterizzate dalla lamina inferiore cerulea e dalla spiga con numerosi fiori poco vistosi riuniti in una struttura lineare, di altezza fino a 40 cm. La sua fioritura primaverile caratterizza le torbiere ancora in fase di riposo, successivamente questa graminacea diventa difficilmente osservabile fra gli intricati cespi di Molinia, Schoenus e Cladium da cui si distingue per le foglie ricoperte di cerosità azzurrognole. È una specie tipica delle torbiere montane su suoli preferibilmente acidi ma che nella pianura friulana si spinge in tutta la fascia delle risorgive e raggiunge quasi il mare presso Aquileia. Si può osservare in tutti i biotopi caratterizzati dalla torbiera alcalina, dove i suoi cespi azzurrognoli si mescolano a quelli di Schoenus. Essa è infatti strettamente legata alla torbiera bassa alcalina e ad alcuni lembi di molinieti particolarmente umidi. La forte contrazione dell'habitat, il suo abbandono e la diminuita disponibilità idrica ne hanno reso sempre più rara la presenza. D'altro canto la gestione tramite decespugliamenti e sfalci favorisce una veloce ripresa di questa specie che trova nelle cotiche meno compatte l'habitat ideale per vegetare e fiorire.

Senecio paludosus L. - Senecione palustre

Senecio paludosus L.  - Senecione palustre Famiglia: Compositae Specie eurosibirica, distribuita dall’Europa centrale all’Asia occidentale che, per quanto non minacciata a livello continentale, è in declino numerico in molti paesi europei, soprattutto al margine dell’areale. La pianta è perenne, alta fino a 2m ed oltre, con una vistosa infiorescenza lassa, composta da capolini grandi (fino a 3 cm di diametro), con foglie basali che spariscono al momento della fioritura. Le popolazioni locali appartengono alla sottospecie angustifolius, con foglie caulinari lineari-lanceolate, larghe circa 1 cm, abbraccianti il fusto, seghettate con denti rivolti verso l’apice, generalmente lisce sulla pagina superiore e biancastre per peli ragnatelosi in quella inferiore. La specie, generalmente planiziale o di bassa collina, vegeta sia su suoli torbosi che minerali, da leggermente acidi ad alcalini e può sopportare l’allagamento per diversi mesi all’anno. Gli individui adulti sopportano un certo grado di ombreggiamento. La specie occupa tipicamente due tipologie di stazioni: bordi di laghi, di stagni, di grandi fiumi delle pianure, dove si alternano periodo di allagamento e periodi, generalmente in estate, di disseccamento, nonché praterie umide e torbiere alcaline su suoli torbosi, generalmente ricchi di basi, dove la sua presenza è condizionata dal tipo di gestione. Nelle Risorgive friulane la specie è presente in diverse piccole stazioni, generalmente in tratti di cladieto in via di interrimento, soggette a sfalci occasionali, in situazioni idriche comparabili alla torbiera bassa a Schoenus, ma maggiormente eutrofiche.

Orchis palustris Jacquin - Orchidea di palude

Orchis palustris Jacquin  - Orchidea di palude Famiglia: Orchidaceae Legata ad alcuni specifici ambienti umidi planiziali, questa specie è tra le più rare e minacciate orchidee della flora italiana. Presente soltanto in alcune regioni ed in modo localizzato, la specie ha subito una forte riduzione dei propri biotopi, aggravata inoltre dagli effetti dell’abbassamento delle falde acquifere. Distribuita dall’Europa centrale e mediterranea fino all’Africa settentrionale ed al Vicino oriente, in Italia la specie occupa le bassure retrodunali, stagni costieri anche salmastri, prati molto umidi e torbiere alcaline. Alta fino a 60-70 cm e caratteristica per le foglie lineari-lanceolate, carenate ed arcuate, si distingue dalla congenere O. laxiflora per l’infiorescenza apparentemente più densa per la minore distanza dei fiori dal fusto, per il colore dei fiori più chiaro, per i lobi laterali del labello non riflessi e più piccoli di quello centrale, quest’ultimo sempre con piccole macchie porporine. Nell’area delle Risorgive friulane la specie contava ancora diverse piccole stazioni, occupando le zone più umide, spesso allagate, della torbiera alcalina (ass. Erucastro-Schoenetum), in vicarianza geografica con la classica associazione centro-europea Orchio-Schoenetum. Nonostante la tutela garantita alle ultime stazioni, tutte all’interno dei S.I.C., la specie ha subito negli ultimi anni un brusco decremento numerico a causa dell’abbassamento della falda idrica e della mancanza di gestione dei suoi biotopi, al punto che ne rimangono pochi esemplari.