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Parchi Naturali, Riserve, Oasi e Giardini Botanici

Risorgive di Virco

Il biotopo Risorgive di Virco ha una superficie di 81,7 ha ed è stato istituito nel 1998. È incluso nei comuni di Bertiolo e Talmassons. Quest'area si sviluppa subito al di sotto della linea delle risorgive e questa abbondante disponibilità di acqua ha formato nel tempo un reticolo idrico superficiale ed un sistema di habitat umidi. I numerosi affioramenti della falda danno luogo alla roggia principale ed una torbiera allungata. Si possono quindi osservare i cladieti che circondano le olle e le aree più ricche di acqua e le torbiere basse alcaline dominate da Schoenus nigricans e ricche di endemismi; sono rari i prati umidi dominati da Molinia caerulea, i primi ad esser trasformati in coltivi. Molto interessanti sono anche habitat anfibi derivanti da una vasto ripristino effettuato su aree precedentemente coltivate. Vi sono anche lembi di aree boscate, dominate da ontano nero, di formazione piuttosto recente. Il paesaggio agrario che circonda l'area, in alcuni casi, mantiene il tipico aspetto tradizionale a campi chiusi. La gestione e i ripristini hanno permesso un mantenimento ed incremento della biodiversità e si propongono di dilatare le aree naturalistiche e di connettere i biotopi. Fra le specie di allegato II della Direttiva Habitat sono presenti Armeria helodes, Erucastrum palustre, Euphrasia marchesetti e Gladiolus palustris. Fra le altre specie rare vanno segnalate Senecio fontanicola, Centaurea forojulensis ed Anagallis tenella. Di questa specie è presente una consistente popolazione che si sviluppa su uno strato torboso portato a giorno durante i lavori di ripristino. Innumerevoli sono anche le emergenze faunistiche di questi ambienti di risorgiva. Tra i rettili va certamente ricordata la cospicua presenza di notevoli popolazioni relitte della lucertola vivipara specie microterma che in questi ambienti dev'essere certamente considerato un relitto glaciale post-wurmiano. Nella zona è ancora diffusa la vipera con popolazioni ormai isolate e quindi in particolare pericolo. Tra i serpenti vi sono il saettone e la coronella ed è importante la presenza della tartaruga di acqua dolce, specie di interesse comunitario. Fra gli anfibi risulta essere particolarmente diffusa la rana di Lataste, specie endemica del nord-Italia. Nelle acque stagnanti vivono numerosi altri anfibi quali i tritoni e l'ululone dal ventre giallo. Il sito è anche di rilevante interesse ornitologico per la presenza di specie importanti in aree che, pur se frammentate, svolgono una essenziale funzione di rifugio all'interno di territori oggetto di intensa pressione antropica. Da segnalare principalmente la presenza di diversi ardeidi quali l'airone rosso, il tarabusino, anche nidificante, la nitticora, il tarabuso, l'airone maggiore e la garzetta. Fra i rapaci vi sono l'albanella reale e l'albanella minore, il falco di palude e numerosi altri. Tra i mammiferi più importanti della zona, dopo l'estinzione della lontra, si annovera la presenza della puzzola, carnivoro le cui popolazioni sono ovunque in forte declino. Tra i roditori troviamo nelle zone più umide notevoli popolamenti di arvicola terrestre e del topolino delle risaie, dai delicati nidi pensili appesi ai culmi di ciperacee e graminacee. Notevole è anche la diffusione del toporagno acquatico. Da notare infine la presenza del gambero di acqua dolce, specie di interesse comunitario.

Biotopo di Flambro

Il biotopo naturale regionale di Flambro è una piccola e incantevole area umida di circa 71 ettari, compresa nel Sito di Importanza Comunitaria (SIC) “Risorgive dello Stella”. Al suo interno lo sguardo del visitatore può cogliere le biodiversità tipiche di un ambiente di risorgiva, qui fuse in un insieme armonico di colori, suoni e profumi diversi. Lungo la corrente d’acqua fresca e limpida della Roggia dei Molini spicca il crescione, dalla fioritura bianca, attorniato da una comunità di piante acquatiche galleggianti. Poco oltre, il bosco di farnie, olmi, platani e pioppi neri si alterna a radure e prati coltivati. Da ammirare la splendida Primula farinosa, il cui rosa spicca sul verde uniforme dell’ambiente circostante. Il percorso conduce alla roggia Mezzal dove, tra i tappeti erbosi, è possibile incontrare un esemplare di ramarro dall’incredibile verde brillante con una macchia azzurra all’altezza della gola. Alcuni cartelli lungo il tragitto ricordano quali sono le specie vegetali e animali caratteristiche della zona, in particolare la Rana di Lataste, con caratteristica colorazione rossiccia sul dorso, una delle specie più rare d’Europa e soggette ad estinzione. Sollevando lo sguardo si può godere del volo di qualche airone cenerino o di un piccolo stormo di anatre. Tutt’intorno, l’intenso verde del prato è interrotto qua e là dalle vivide macchie di colore appartenenti agli esemplari simbolo del biotipo: l’Armeria helodes, il giglio caprino (una variante dell’orchidea) e le Iris azzurra e gialla.

Parco Nazionale dello Stelvio

Il Parco Nazionale dello Stelvio si estende nelle Alpi Centrali su 130.700 ettari nel territorio confinante a nord con il Parco Nazionale Svizzero e a sud con il Parco Regionale dell’Adamello (Lombardia). Costituito nel 1935, il parco vuole proteggere l’ambiente naturale e le specie animali e vegetali che lo popolano offrendo la possibilità ai visitatori di attraversarlo grazie a diversificati sentieri e zone di accesso. È soprattutto durante la stagione estiva (ma anche durante l’inverno) che il Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, in collaborazione con le guide alpine convenzionate, organizza escursioni a carattere naturalistico. Proprio grazie alle visite guidate potrete conoscere le specie vegetali e animali che contraddistinguono il Parco dello Stelvio. La flora varia in base all’altitudine; in generale abeti rossi, larici e pini cembri costituiscono vasti boschi di conifere. La nigritella, l’arnica e la stella alpina popolano invece le vette a quote più elevate; il garofano dei ghiacciai, la linaria alpina, il ranuncolo dei ghiacciai, muschi e licheni popolano invece le zone rocciose e il limite con i ghiacciai. Cervi, caprioli, volpi rosse, martore e scoiattoli sono alcune delle specie faunistiche che popolano i boschi del Parco Nazionale dello Stelvio; camosci e marmotte abitano invece i più alti prati di montagna. L’aquila reale, il gufo reale, il picchio nero, il gallo cedrone, il gracchio e il fagiano sono alcuni dei volatili del parco. Il territorio del parco è interessato dalla presenza di alcuni laghetti e ghiacciai d’alta montagna, un importante risorsa per la Val Venosta che registra una bassissima quantità di precipitazioni annue. È grazie agli stessi se in passato era possibile irrigare i campi coltivati del posto. In realtà ancora oggi parte del territorio è utilizzato per la coltivazione del terreno (per i quali si ricorre ormai all’irrigazione artificiale). Ecco perché il Parco Nazionale dello Stelvio può vantare di una sapiente e armoniosa connessione tra paesaggio incontaminato e mano dell’uomo. Quattro centri visite consentono di accedere al Parco Nazionale dello Stelvio: Aquaprad a Prato allo Stelvio, Culturamartell a Martello, Lahnersäge a S. Gertrude e Naturatrafoi a Trafoi.

Alberi monumentali della val di Fiemme

Ci sono 60 milioni di alberi in val di Fiemme, molti dei quali straordinari e affascinanti per la loro storia. Per la loro altezza, le dimensioni del fusto, le forme singolari, l'età, sono dei veri monumenti naturali e meritano di essere scoperti, conosciuti, ammirati. Essi non ci forniscono solamente ossigeno, ci lasciano stupefatti. Con le forme dei tronchi, dei rami, della chioma, raccontano storie plurisecolari, ci parlano del tempo e di un ambiente che condividono con noi. Basta andar loro incontro, osservare e stare ad ascoltare. Ogni foresta della val di Fiemme custodisce al suo interno qualche albero monumentale da rispettare e custodire gelosamente. Sono sparsi in tutto il territorio della vallata e sono facilmente raggiungibili attraverso piacevoli passeggiate all'aria aperta. A ciascuno è stato dato un nome che ne rispecchia le caratteristiche peculiari, ne richiama l'ambiente di crescita e persino il rapporto con le persone del luogo. Alcuni sono molto vicini ai paesi e alle strade e si possono raggiungere con brevi passeggiate. Altri vegetano in siti più lontani, nel cuore del bosco o in prossimità delle cime. Per raggiungerli occorre percorrere i sentieri di montagna, alcuni dei quali realizzati per consentire un più facile accesso. Tra i più importanti alberi monumentali della val di Fiemme sono da annoverare: l'Eterno, la Torre di Pisa, il Re Leone, il Zirmo dei Zochi Alti, il Pezo del Gazolin, le Colonne della Casaia, il Maestro dei Pertegari, el Pecio del Cuco, la Regina del Feudo, i Colossi del Doss, il Cipresso di Lavazè, il Rifugio, il Larice di confine, il Pec del Bosnia, ... Gli alberi monumentali più... ... IL PIU' GROSSO: "Il Re Leone" circonferenza a terra m. 7.10 circonferenza a m. 1.30 m. 5.40 ... IL PIU' ALTO: "Le colonne della Casaia" m. 52 e m. 50 ... QUELLO CON VOLUME MAGGIORE: "Il Maestro dei Pertegari" mc 25 (volume del fusto) ... IL PIU' VECCHIO: "Il Re Leone" 700-800 anni

Parco delle Risorgive di Codroipo

Nel punto di incontro tra alta e bassa pianura, e cioè nel punto di incontro tra terreno permeabile ed impermeabile, le acque, accumulatesi nelle falde acquifere sotterranee riaffiorano, dando origine ad una fascia di terra (la cui estensione può variare dai 2 ai 30 km) chiamata linea o fascia delle risorgive. Lungo tale linea si trovano tutti i punti in cui l'acqua risale in superficie dando luogo alle risorgive o fontanili. Queste acque hanno caratteristiche particolari: una temperatura di 9-12 gradi ed una portata costante, durante tutte le stagioni, di circa 65 m3 al secondo; sono acque limpide e potabili e spesso ricche di sostanze minerali. Tali peculiarità determinano un ambiente umido caratterizzato da corsi d'acqua, rogge, rivi, boschetti ripariali (di riva) e, ormai rari, lembi di boschi planiziali e torbiere. Oggi il paesaggio delle risorgive è stato quasi completamente bonificato; rimane traccia di questi ambienti in aree ristrette della regione, come quella a sud del comune di Codroipo dove, proprio per tutelare questa zona naturale umida di grandissimo valore e biodiversità, nel 1983 è sorto Parco delle Risorgive che si estende per circa 45 ettari. Qui, scorrendo sulla parte impermeabile del sottosuolo, le acque raccolte nell'alta pianura e nella zona pedemontana riaffiorano da fontanili (cavità dal contorno irregolare), lame (bassure paludose), olle (pozze artesiane) e bollidori (scavi artificiali rivestiti da graticci). In seguito ad una canalizzazione operata negli anni Venti dello scorso secolo, sono state scavate altre rogge, più ampie, su cui si affacciano quattro mulini dei ventidue originari. Tutte queste emergenze d'acqua vanno a formare una serie di canali paralleli: l'Aghe Reàl (Acqua Reale), l'Aghe Blancje (Acqua Bianca), l'Aghe Lusinte (Acqua Lucente), l'Aghe Nere (Acqua Nera). Queste acque, assieme a quelle della Roggia di San Odorico, convergono in un unico corso confluente nel torrente Corno e quest'ultimo nel fiume Stella. Il parco custodisce varietà vegetali endemiche, cioè tipiche della zona e limitate ad un ristretto areale, come il fiordaliso del Friuli (Centaurea forojuliensis) e il cavolo di palude (Ecastrum palustre), simbolo dell'intera zona delle risorgive, la genziana alata e varie specie di orchidee Vicino ai corsi d'acqua si distinguono l'ontano nero, il pioppo nero, il pioppo bianco e il salice argenteo, mentre nelle zone più asciutte si possono ammirare alberi di quercia, olmo campestre e acero. Il "molinieto" (così viene chiamata la fascia più esterna delle depressioni sorgentifere) ospita invece una serie di graminacee, fra le quali spiccano i grossi ceppi del giunco nero. Ma le rarità botaniche di questi luoghi si nascondono nelle vicinanze delle olle di risorgiva che, mantenendo fresco l'ambiente circostante, consentono la sopravvivenza di numerose piante alpine che vi hanno trovato rifugio dalle ultime glaciazioni. Tra queste ci sono la pinguicola e la drosera, due piccole piante carnivore che si cibano di piccole formiche e moscerini. Molte le specie animali che popolano quest'area: si possono infatti intravedere volpi, lepri, caprioli e scoiattoli, mentre i boschetti offrono riparo a ghiandaie e ai picchi rossi, che nidificano all'interno delle cavità degli alberi, ma non mancano neppure i rapaci come la poiana e lo sparviero. Il poeta Amedeo Giacomini ha descritto il parco delle risorgive come "una stupenda miniera di verde e di fiori, un unicum ecologico". Ed infatti quest'oasi naturalistica, venata da sentieri e strade sterrate, è di estremo valore per tutta la regione, poiché offre la possibilità ai visitatori di ritrovare paesaggi altrove scomparsi e di ammirare come fosse nel passato questa splendida terra friulana. Ai margini della zona boschiva, lungo la roggia di San Odorico si susseguono alcuni mulini che testimoniano la passata civiltà contadina, basata sullo sfruttamento della terra e dei corsi d'acqua. Gli edifici in gran parte risalenti al XVI secolo, ma sostanzialmente rimaneggiati nei secoli successivi, ora sono purtroppo in gran parte alterati nella forma e nelle funzioni. Questa roggia è stata uno dei primi canali artificiali realizzati dall'uomo ancor prima del XI secolo prelevando l'acqua dal fiume Tagliamento; l'accelerazione dell'acqua serviva al centro abitato, ma soprattutto forniva forza motrice ai molini lungo essa dislocati. Oggi, dei 22 molini originari, su questa roggia se ne affacciano solo 4 e l'unico in funzione è quello di Bert-Zoratto che dal 1400, oltre al tradizionale lavoro della macina (dai cereali provenienti da agricoltura biologica locale si ottengono farine integrali per polenta macinate a pietra e raffinate, farine per la panificazione di grano duro, grano tenero e farro) esegue, unico in Italia, la battitura dello stoccafisso attraverso l'antichissimo sistema del pestello di lino. Sempre lungo la roggia di San Odorico (vicino alla zona del parcheggio) è possibile visitare un altro sito storico di grande importanza: i resti di un castelliere, uno di quei piccoli insediamenti fortificati che sorsero tra il XV e il III secolo a.C. in Istria, per espandersi successivamente in Friuli, Venezia Giulia, Dalmazia, Veneto e zone limitrofe; la "civiltà dei castellieri" durò oltre un millennio (dal XV al III secolo a.C. circa) ed ebbe termine solo con la conquista romana. Erano dei borghi fortificati, generalmente situati su montagne e colline o, più raramente, in pianura (Friuli sud-orientale), e costituiti da una o più cinte murarie concentriche, dalla forma rotonda, ellittica (Istria e Venezia Giulia), o quadrangolare (Friuli), all'interno delle quali si sviluppava l'abitato. Va rilevato che lo spessore delle mura poteva raggiungere anche i quattro o i cinque metri, mentre per quanto riguarda l'altezza questa era generalmente compresa fra i cinque e i sette metri. Erano dunque delle cinte piuttosto massicce il cui perimetro poteva misurare anche due o tre chilometri. La tecnica costruttiva era "a sacco": venivano edificati due muri paralleli costituiti da grandi blocchi di pietra e riempiti, nello spazio interno, da piccole pietre, terra ed altri materiali residuali. Le case di abitazione, generalmente di modeste dimensioni e dalla forma circolare (spesso a trullo), avevano una base di pietra calcarea o arenaria e per il resto erano costruite con materiali deperibili, soprattutto legno.

Bosco Romagno

Il Bosco Romagno è un parco naturale che si trova tra i comuni di Cividale del Friuli, Prepotto e Corno di Rosazzo. Si estende su 53 ettari, quasi tutti di bosco, facilmente accessibile attraverso una serie di facili sentieri. La vegetazione è composta da molte piante tra cui la robinia (pianta importata dal Nord America nel 1601), il rovere, l'acero campestre e montano, il carpino bianco e nero, il ciliegio, il castagno, il tiglio che conferiscono grande varietà di paesaggio. Il sottobosco è formato da rovi, pungitopo, nocciolo e ginestra. All'inizio della primavera il Bosco Romagno si colora di migliaia di bulbose in fiore: crochi, primule, bucaneve, campanellini, fegatelle, ad altre specie meno frequenti, come la polmonaria sudalpina o il dente di cane. Oltre al bosco, il parco comprende anche vasti prati e numerosi corsi d'acqua, fra i quali il rio Cornizza, un piccolo affluente del vicino torrente Corno, dove vivono i gamberi di fiume, ora molto rari ma che, nei tempi passati, rappresentavano l'unica riserva di cibo per i poveri contadini della zona nei periodi di carestia. In quest'area è stato ricavato anche uno stagno che rappresenta un luogo ideale per la riproduzione di salamandre, rane e tritoni. La fauna che popola il Bosco Romagno e i Colli Orientali, ove non è ancora intervenuta la trasformazione agraria a vigneto, annovera un numero eccezionale di specie sia stanziali che migratorie: una costanza è rappresentata dai numerosi caprioli mentre in via di estinzione è il gatto selvatico che qui è ancora presente con qualche esemplare. Si possono avvistare volpi, tassi, scoiattoli e ghiri, ma anche cinghiali, attirati in certi periodi dell'anno sia dall'abbondante produzione di ghiande che dalla presenza di prelibati bulbi sotterranei. Il bosco offre cibo e riparo anche per molti esemplari dell'avifauna come fringuelli, cince e merli, colombacci e ghiandaie, gufi e sparvieri. Il toponimo "Romagno" ha una origine longobarda ed individuava la località come " Bosco degli Arimanni", uomini liberi del popolo dei Longobardi che agivano alle dirette dipendenze del re e costituivano le avanguardie poste a difesa delle invasioni degli Slavi e degli Avari. Da ciò si intuisce il ruolo strategico che rivestiva il Bosco Romagno all'interno del sistema difensivo longobardo, ruolo rimasto immutato nei secoli tanto che, durante la Seconda guerra mondiale, la località divenne sede di un'importante polveriera di cui ancora si possono notare le basi in cemento delle casematte destinate al deposito degli esplosivi. Ma non solo la sua antica origine longobarda lega il Bosco Romagno alla storia. Qui, infatti, ebbe luogo uno degli episodi dei più tragici e controversi della Resistenza italiana, tuttora fonte di numerose polemiche. Tra l'8 e il 20 febbraio del 1945, infatti, diciassette partigiani (tra cui una donna) della brigata Osoppo (formazione di orientamento cattolico e laico-socialista), furono prelevati alle malghe di Porzûs, trucidati nei pressi del bosco e qui sotterrati da un gruppo di partigiani delle Brigate Garibaldi appartenenti al Partito Comunista Italiano. Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo, era tra i ventidue partigiani della brigata Osoppo che furono uccisi. Presso una delle entrate del bosco vi è una lapide che ricorda quella tragica circostanza.

Riserva Naturale di Gradina

L’area protetta con i suoi 726 ha di estensione interessa 3 comuni della Provincia di Gorizia: Doberdò del Lago (Doberdob), Monfalcone e Ronchi dei Legionari. E’ stata istituita con la Legge Regionale n. 42/1996 in recepimento della Legge  quadro nazionale sulle aree protette n. 394/1991 e successivamente inserita nella rete europea “Natura 2000”. L’elemento caratterizzante di questa Riserva è la presenza di due grandi depressioni carsiche (polje) ospitanti due laghi  separati da rilievi calcarei . Poichè il Carso è impostato su calcare, roccia carbonatica molto permeabile, tutto il territorio manca di un’idrografia superficiale essendo l’acqua confinata nel sottosuolo. Conseguentemente la presenza dei laghi contrasta la circostante aridità e permette lo sviluppo di ecosistemi tipici delle zone umide normalmente assenti su tutto il Carso, che conferiscono all’area protetta un elevato grado di biodiversità. Percorrendo i sentieri di quest’area protetta si ha quindi la possibilità di osservare il passaggio da  habitat di ambienti aridi, come i prati di landa o i campi solcati, a quelli di zone umide che circondano i laghi. Sul colle M. Castellazzo, che si eleva sopra il lago di Doberdò, si trova il Centro visite Gradina nel cui Museo il visitatore ha modo di  ripercorrere, anche attraverso strumenti interattivi,  gli aspetti storici e naturalistici della Riserva e del Carso. La struttura dispone anche di un bar , di un ristorante e di un’accogliente foresteria con 20 posti letto. Il Centro visite e il Paludario sono gestiti dalla Cooperativa Rogos che organizza anche attività didattiche con le scuole, escursionistiche, di divulgazione scientifica e mostre d’arte.

Giardino Botanico Carsiana

Il Giardino Botanico Carsiana è ubicato all’interno di una dolina nel Comune di Sgonico, a 18 km dalla città di Trieste, lungo la strada provinciale che collega il paese di Sgonico a quello di Gabrovizza. Fondato nel 1964, come iniziativa privata, da un gruppo di studiosi e appassionati locali, il giardino è stato ideato con l’obiettivo di raccogliere, conservare ed illustrare la flora e la vegetazione spontanee del Carso inserite nel proprio contesto naturale. Nel giardino sono raccolte specie vegetali autoctone del Carso, collocate nei rispettivi ambienti, che si sviluppano lungo i versanti di una dolina. Il Carso è un altopiano calcareo, allungato in direzione nord-ovest sud-est situato in una vasta area ripartita tra Slovenia, Croazia e Italia. La parte italiana comprende il Carso triestino ed isontino che si estende per 500 kmq, tra i confini naturali rappresentati dalla costa nord-orientale del Golfo di Trieste verso Sud-Ovest, dal bacino marnoso-arenaceo del Vipacco verso Nord-Est, dalla piana alluvionale dell’Isonzo verso Nord e Nord-Ovest e dal solco tettonico della Val Rosandra a Sud-Est unito al bacino marnoso-arenaceo di Beka Očisla e al Carso castelnoviano. I substrati calcarei sono molto permeabili determinando una diffusa aridità che può essere localmente esacerbata dall’azione termoriflettente delle rocce nude. L’elevata permeabilità di questo substrato si deve alla fratturazione delle rocce calcaree che ha consentito lo sprofondamento dei reticoli idrici, oggi totalmente ipogei, determinando un’idrografia che si sviluppa a 200-500 m di profondità (Poldini, 1972). Il carsismo ipogeo si manifesta inoltre con cavità che in genere seguono la giacitura degli strati e con pozzi che si formano in corrispondenza di fratture subverticali . I laghi carsici di Doberdò e Pietrarossa ed il torrente Rosandra costituiscono pressoché l’unico esempio di acque superficiali. Circa 600 sono le specie floristiche raccolte nei 5000 mq dedicati a giardino botanico. L’area è stata scelta in quanto, nel piccolo lembo di terra sono naturalmente rappresentate tutte le principali conformazioni geomorfologiche del territorio carsico, cui sono state associate, le rispettive formazioni vegetali. La naturale conformazione del giardino ha permesso di strutturare l’esposizione botanica secondo caratteristiche ecologiche e non secondo le leggi sistematiche, consentendo quindi una più intuitiva comprensione del legame tra vegetazione, clima e geologia. Carsiana vuole essere quindi una “sintesi del paesaggio carsico” che consegna al visitatore un quadro esaustivo dei principali aspetti ecologici del territorio.

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